di Sara Ramzi
Li avevano arrestati nel marzo scorso con l’accusa di “terrorismo”. Oggi il Tribunale del riesame dell’Aquila deciderà della scarcerazione di Ali Irar e Mansour Doghmosh, due dei tre rifugiati palestinesi, in carcere da ormai sei mesi.
La vicenda aveva fatto discutere media ed esponenti politici nazionali, tanto che il ministro dell’interno Matteo Piantedosi aveva espresso “soddisfazione per la cattura di pericolosi terroristi”. Un giudizio affrettato da parte delle istituzioni, senza considerare il principio di presunzione d’innocenza.
La questione, infatti, è più complessa e va oltre le inesattezze che hanno fatto il giro del web negli ultimi mesi.
“La resistenza non è un crimine, il genocidio sì”
Occorre fare una precisazione: la mattina dell’11 marzo sono stati tre gli ordini di arresto. Oltre a Irar e Doghmosh, un mandato è stato emesso anche per Anan Yaeesh, che però era già in carcere da più di un mese.
Qui il primo tassello: l’arresto di Yaeesh, infatti, era avvenuto il 29 gennaio, a seguito di una richiesta di estradizione delle autorità israeliane al ministero della giustizia.
Alla richiesta israeliana fa seguito la misura cautelare italiana, che si concretizza nell’arresto del giovane.
La vicenda viene resa nota solo in un secondo momento dai legali di Yaeesh e contestualmente si costituisce un comitato per la sua liberazione, Free Anan.
La rabbia monta e il volto di Anan Yaeesh comincia ad apparire sui cartelloni delle proteste che chiedevano di fermare il genocidio a Gaza in varie città italiane, oltre che sotto alcune prefetture, sotto lo slogan “La resistenza non è un crimine, il genocidio sì”.
Passano le settimane e, all’alba dell’11 marzo, vengono tratti in arresto anche Irar e Doghmosh, in un’operazione scattata appena 24 ore prima dell’udienza che avrebbe dovuto decidere sull’estradizione di Yaeesh. Una coincidenza che agli occhi di molti non è passata inosservata.
Chi è Anan Yaeesh, il palestinese che Israele vuole
Anan Yaeesh, 37enne cresciuto a Tulkarem, nella Cisgiordania occupata, vive come rifugiato in Europa dal 2013, dapprima in Norvegia e poi, dal 2017, in Italia.
È lui stesso a raccontare la sua storia di resistenza attiva all’occupazione israeliana, di cui non fa alcun mistero.
Come riportato dal comitato Free Anan, durante un interrogatorio di garanzia Yaeesh rilascia una dichiarazione spontanea in cui racconta vari episodi della sua vita nel contesto della Cisgiordania occupata da Israele. Parla dell’uccisione della sua ragazza a 15 anni da parte dell’esercito israeliano, del tentato omicidio nei suoi confronti, dei proiettili che lo hanno raggiunto.
Paragona, poi, la lotta dei palestinesi a quella dei partigiani italiani, “rifiutando lo stigma di terrorista”.
“Sono stato arrestato in Giordania l’anno scorso per lo stesso motivo e ora l’Italia mi ha arrestato per gli stessi motivi. Quindi niente di nuovo, ma è qualcosa di politico, solo per dimostrare che Israele mi segue da molto tempo non solo adesso, e lo so, sono sicuro, che se sarò libero o se rimarrò qualche anno e dopo sarò libero, Israele non si arrenderà mai e non mi lascerà mai, non si fermeranno prima di uccidermi.”
Anan Yaeesh, in una lettera dalla Casa Circondariale di Terni
È proprio lo “stigma del terrorista” a rappresentare un tassello chiave nella lettura della vicenda e, soprattutto, nella strutturazione della difesa del 37enne palestinese. La risoluzione 37/43 del 1982 delle Nazioni Unite riconosce ai popoli “sotto dominazione coloniale e straniera” – come, da oltre 70 anni, quello palestinese – la legittimità della lotta per l’indipendenza “con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”.
Estradizione negata, ma scattano tre mandati d’arresto
Il 12 marzo, quasi due mesi dopo il primo arresto del giovane di Tulkarem e il giorno dopo la cattura di Irar e Doghmosh, Yaeesh viene dichiarato “non estradabile” dalla Corte d’Appello dell’Aquila.
Infatti, se l’Italia l’avesse consegnato ad Israele il rischio sarebbe stato, recita la sentenza, di “trattamenti crudeli, disumani, o comunque atti che configurano la violazione di uno dei diritti umani della persona, evincendosi tale rischio delle relazioni, presentati dalla difesa, di organizzazioni non governative ritenute affidabili sul piano internazionale“.
Le condizioni dei palestinesi e delle palestinesi nelle carceri israeliane sono ben note. È la stessa difesa, riporta l’Unità, a sottolineare come si sostanzia il “doppio standard normativo e giudiziario – cd. Apartheid – applicato ai palestinesi dei territori occupati rispetto ai coloni israeliani, nella deportazione e detenzione dei palestinesi in territorio israeliano; nella detenzione amministrativa”.
Con la sentenza della Corte d’Appello aquilana, Yaeesh sarebbe dovuto essere scarcerato, ma viene “nuovamente” arrestato per il provvedimento scattato il giorno prima nei suoi confronti, oltre che di Irar e Doghmosh.
L’accusa per i tre è di “promozione, costituzione, organizzazione o finanziamento di associazioni terroristiche tese all’eversione dell’ordine democratico in uno stato estero”.
Yaeesh, quindi, rimane nel carcere di Terni, in attesa del processo, mentre Irar viene portato a Ferrara e Doghmosh a Rossano Corigliano. Ad aprile, poi, Israele ritira la richiesta di estradizione.
Ali Irar, 30 anni e Mansour Doghmosh (29) sono amici e connazionali di Anan Yaeesh.
Il primo è anche il suo coinquilino a L’Aquila. Nell’ordinanza di arresto, oltre a delle chat Telegram fra i tre rifugiati palestinesi non parrebbe esserci molto a motivare la “pericolosità”, nonché la detenzione di Irar e Doghmosh.
Unendo i puntini, sembrerebbe che la vicenda sia di carattere politico, nata da pressioni del governo israeliano legate alla storia di lotta di Anan Yaeesh e da lui stesso rivendicata.
Inoltre, a leggere l’ordinanza di custodia cautelare, l’impressione è che gli altri due giovani siano stati catapultati in una vicenda con la quale avrebbero poco a che fare.
Ne sapremo di più dopo l’udienza di oggi, prevista alle ore 12 al Tribunale dell’Aquila, in cui si deciderà sulla loro scarcerazione.
Il presidio al Tribunale del Comitato per la Palestina L’Aquila
“A luglio la Cassazione aveva deciso di annullare la richiesta del mandato di cattura per due di loro, Ali e Mansour, rinviando l’ultima decisione per la loro scarcerazione al Tribunale del Riesame di L’Aquila, che però nell’udienza di riesame, tenutasi giovedì scorso [5 settembre, ndr], ha rinviato la sentenza perchè non è stata data la possibilità ad Ali e Mansour di essere presenti e assistere, sia pur in video-conferenza, al loro processo. Per cui la Corte ha dovuto prendere atto, pena la nullità, delle richieste della difesa e ha rinviato il Riesame a lunedì 9, in cui il Tribunale si pronuncerà in merito alla scarcerazione di Ali Irar e Mansour Doghmosh”.
A dichiararlo è il Comitato per la Palestina L’Aquila.
“Lunedì 9 settembre – prosegue il comitato – saremo di nuovo presenti davanti al Tribunale dell’Aquila per manifestare la nostra totale solidarietà e vicinanza ai tre ragazzi palestinesi arrestati a L’Aquila – e deportati in tre località diverse italiane – su pressioni del governo di Israele con le solite accuse di essere “terroristi” e con relativa richiesta di estradizione”.
“Rinnoviamo pertanto l’invito a tutte le persone e organizzazioni solidali con la causa palestinese ad essere presenti e fare pressioni affinché questa ingiusta detenzione di due nostri concittadini venga annullata. Sono infatti sei mesi che Ali e Mansour si trovano imprigionati con accuse palesemente inventate da uno Stato, quello di Israele, in guerra contro la Palestina e pluri-sanzionato dall’Onu”.
“Ribadiamo poi ancora una volta che alla luce degli ultimi sviluppi della guerra di aggressione di Israele verso la Cisgiordania – da cui provengono Anan, Ali e Mansour – chiediamo che venga riconosciuta loro la protezione internazionale e che venga applicato il diritto umanitario. Sappiamo tutti infatti che è in atto da quasi un anno una politica di sterminio di massa contro la popolazione arabo-palestinese di Gaza che sta diventando a tutti gli effetti un vero e proprio genocidio”.
“Ma è da decenni che lo Stato di Israele tiene sotto occupazione militare quasi tutti i territori abitati dai palestinesi e sono proprio il diritto internazionale e l’Onu a riconoscere il diritto alla Resistenza dei popoli oppressi e sotto occupazione”.
“Quindi – sottolinea il comitato – le accuse di terrorismo le rinviamo al mittente e chiediamo l’immediata liberazione di Alì e Mansour da parte del Tribunale del Riesame dell’Aquila. Chiediamo altresì la liberazione di Anan Yaeesh e la rottura di ogni rapporto diplomatico, economico e militare con lo Stato genocida di Israele da parte dell’Italia.
“Diritto alla vita e alla libertà per Alì, Mansour, Anan e tutto il popolo palestinese sotto costante attacco militare da parte dello Stato di Israele!”, conclude.
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