La decisione di non far sbarcare a Lampedusa i profughi fu una scelta unilaterale del ministro non concordata con il resto del governo
Non è solo un passaggio giudiziario cruciale quello atteso per sabato 14 settembre nel processo che si celebra a Palermo a carico di Matteo Salvini per la vicenda di Open Arms. L’allora ministro dell’Interno del governo giallo-verde, nell’agosto del 2019, negò lo sbarco a Lampedusa alla nave della ONG spagnola con 147 profughi soccorsi in mare, provocando uno stallo di venti giorni. La situazione fu sbloccata dalla magistratura, che ordinò lo sbarco d’urgenza dopo che l’allora procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, aveva constatato di persona le pessime condizioni di salute dei migranti, stremati dal caldo e dalla traversata in mare.
Sabato nell’aula bunker dell’Ucciardone è attesa la requisitoria dei PM di Palermo, che si concluderà con la richiesta a carico del leader della Lega, difeso dall’avvocato Giulia Bongiorno, senatrice della Lega. Salvini è accusato del reato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Per chi «priva taluno della libertà personale», il Codice penale prevede una pena fino a quindici anni se il reato è compiuto ai danni di un minore o se l’autore è «un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni».
Il vicepremier sarà in aula. «Mentre altri Paesi europei come la Germania pensano a chiudere le loro frontiere – ha detto Salvini -, questo fine settimana verrà annunciata la richiesta dei PM per il processo Open Arms – voluto dalla sinistra -, che mi vede imputato per aver fermato gli sbarchi da ministro dell’Interno e per il quale rischio una condanna fino a quindici anni di carcere, un caso che non ha precedenti in Occidente. Orgoglioso di aver difeso l’onore, la dignità e la sicurezza del mio Paese». Il partito, viene reso noto da via Bellerio, è pronto a mobilitarsi.
L’Importanza della Legge e dei Diritti Umani
Il fascicolo del caso Open Arms fu trasmesso alla procura di Palermo, ufficio inquirente del capoluogo in cui ha sede il Tribunale dei Ministri, competente in quanto si ipotizzarono responsabilità penali dell’allora titolare del Viminale. A novembre del 2019 il Tribunale dei Ministri ricevette dai PM la richiesta di procedere a indagini preliminari nei confronti del leader della Lega. A febbraio 2020 la decisione del collegio di chiedere al Senato l’autorizzazione a procedere. Nel provvedimento, con il quale il tribunale accolse sostanzialmente la ricostruzione dei PM, i giudici affermarono il principio dell’obbligo di prestare soccorso in mare e definirono come “amministrativo” e non politico l’atto di vietare l’approdo ai migranti disposto da Salvini.
La decisione di non far sbarcare a Lampedusa i profughi soccorsi, secondo i magistrati, fu un atto deciso dall’allora ministro dell’Interno individualmente, quindi non “condiviso” con gli altri esponenti del Governo, come invece ha sempre sostenuto il leader della Lega. Dopo l’autorizzazione a procedere di Palazzo Madama, la palla era tornata alla Procura di Palermo che è andata avanti chiedendo e ottenendo il rinvio a giudizio.
L’importanza di questo processo va oltre la singola vicenda giudiziaria. Esso rappresenta un momento cruciale per la riaffermazione dei diritti umani e dei principi fondamentali dello stato di diritto. La difesa della dignità e della vita umana, soprattutto di persone vulnerabili come i migranti in pericolo in mare, deve rimanere una priorità per qualsiasi governo democratico. Eventuali provvedimenti contro Salvini non sono solo un atto di giustizia nei confronti dei migranti coinvolti, ma anche un chiaro segnale che l’Italia non tollera abusi di potere e violazioni dei diritti umani, indipendentemente dalla posizione politica di chi li commette.