La questione, però, negli ultimi giorni ha sollevato un dibattito politico, a seguito di uno scambio di commenti avvenuto sui social network tra lo stesso Di Salvatore e il Presidente del Consiglio regionale, impegnato nella campagna elettorale per la sua rielezione.Sulla vicenda interviene Luciano D’Amico, Candidato alla presidenza della Regione per la coalizione “Patto per l’Abruzzo”: “Suona stridente il commento del Presidente uscente del Consiglio regionale, con cui, ricorrendo alla locuzione latina pecunia non olet, stigmatizza le legittime riflessioni del professor Di Salvatore, riferite a quanto da lui asserito nel corso di un comizio elettorale sul finanziamento delle borse di studio. Con il commento, il Presidente del Consiglio regionale sottolinea, inoltre, quasi ne fosse una colpa, che il Professor Di Salvatore, nel suo tempo libero e in qualità di libero cittadino, scriva il programma elettorale della coalizione “Patto per L’Abruzzo”, che mi vede candidato Presidente, “nonostante” sia docente di un Corso di laurea che annovera tra i co-finanziatori la Regione Abruzzo.Sono affermazioni che non passano inosservate perché contrastano con la Costituzione italiana, che garantisce la libertà di espressione e di opinione.
Piuttosto sarebbe stato grave se il professor Di Salvatore, al mio invito di collaborare per la stesura del programma elettorale di “Patto per l’ Abruzzo”, avesse declinato l’invito perché lo schieramento era alternativo all’attuale governo regionale. E non c’ è nessuna incompatibilità o inopportunità, rispetto a dei diritti tanto importanti, che chi li invoca dimostra di non conoscere la Carta costituzionale.
È importante sottolineare che le risorse della Regione devono essere impiegate per il bene dei cittadini e non per conquistare una qualche fedeltà elettorale. È impensabile e anacronistico immaginare che un dipendente pubblico di qualunque categoria, nell’esercizio del suo ruolo o del suo tempo libero, debba sentirsi vincolato perché, direttamente o indirettamente, interseca quei progetti che sono sostenuti dalle istituzioni pubbliche.
Ipotizzare questa sorta di sudditanza, seppur solo nella sfera dell’espressione, significherebbe riportare il Paese a una modalità di gestione del consenso politico del ventennio più buio della nostra storia” conclude.
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