di Alessandro Tettamanti
L’AQUILA – “Siamo un gruppo eterogeneo e trasversale di uomini e donne, cittadine e cittadini, giovani e adulti, che non vogliono rassegnarsi a pensare che questa città sia violenta, divisa e respingente, ma vogliono contribuire a renderla inclusiva e vivibile per tutte e tutti”. Inizia così l’appello a partire dal quale sabato pomeriggio ha preso forma ai 4 cantoni una sorta di presidio/laboratorio sociale e di socialità a cui hanno risposto in più di cinquanta e che ha coinvolto le tante persone di passaggio in pieno Centro di sabato pomeriggio, tra cui tante famiglie con bambini.
Cartelli, giochi, colori, libri. Qualcuno ha portato una trottola, qualcun’altra ju zirè. Altri distribuiscono volantini, l’immancabile cassa blue tooth diffonde qualche nota nell’aria già pre natalizia, come in un normale e tranquillo sabato del villaggio insomma.
Una presenza che per gli organizzatori e le organizzatrici è una risposta alla percezione di insicurezza di una parte consistente della città, che molto è stata narrata sui media, ma anche alle non efficaci politiche repressive messe in campo dall’amministrazione, come quella delle multe per chi si siede sui portici a san berardino, che hanno colpito in particolare i minori stranieri non accompagnati , ma sopratutto una risposta alla quasi totale assenza di politiche sociali, di prevenzione e contrasto alla povertà educativa.
A lanciare la piccola mobilitazione è stato il laboratorio sulle parole e la città, un gruppo “eterogeneo”, come si racconta appunto, che ha già messo in campo alcune iniziative tra cui quella su “perdono, pace e diritto a migrare” al parco dell’unicef durante la Perdonanza.
Uno degli slogan presenti nell’iniziativa: “Non può esistere sicurezza senza comunità”.
“Sto tessendo perché anche in questa città c’è bisogno tessere i legami”, afferma mentre ago e filo alla mano, mentre è seduta sul bordo di Corso Federico II, Salima Cure, una delle animatrici del Laboratorio che per adesso è riuscito a mettere insieme molte persone tra cui alcune già impegnate in associazioni, movimenti e parti politiche e sociali cittdadine.
“Serve tessere rapporti e non solo proibire cose, la città deve essere vissuta – continua Salima -. Sono qui a fare un’azione quotidiana nello spazio pubblico, perché voglio dire che la città la vivo come casa mia. Il simbolico è importante per parlare delle nostre idee di città, per parlare di come viverle, non siamo d’accordo con proibizioni che non sono neanche il frutto di decisioni partecipate. Quindi tessere vuol dire fare partecipazione”.
Ma cosa manca in centro?
“Mancano gli spazi dove potersi incontrare, una biblioteca, luoghi di socialità alternativa come l’ex asilo occupato che dovrebbe tornare ad associazioni come il 3e32 che possono riportarci delle attività rivolte per lo più ai giovani”, afferma Emanuele, giovane studente impegnato in vari collettivi in città tra cui quello dell’Unione degli studenti.
“Mancano le suole, manca sentirsi parte della città anche come gruppo studentesco in sè e manca uno spazio che sia rappresentanza diretta di questo” gli fa eco il suo collega dell’Uds Cosmo. “Oggi – prosegue – stiamo lavorando per riconquistare spazi in questa città che ci caccia e vuole nasconderci dagli occchi dei turisti”.
“Servono più spazi per la socialità e meno per il consumismo che è il modello che questa politica cittadina sta perseguendo”, continua Matteo, attivo nelle assemblee che animano lo spazio autogestito di CaseMatte.
“Spazi in cui non ci siano discriminazioni o stigmi, dove una persona può esprimere il proprio io e non seguire la retta del gregge. Qui in centro invece o vai consumare o non puoi fare altro, non c’è un punto di ritrovo e quando si creano vengono sgomberati. Credo che l’applicazione di un provvedimento che vieta di sedersi sui portici di San Berardino sia assurdo. Non si può vietare alla popolazione di stare in spazi dove dovrebbe stare di diritto, mi sembra un atteggiamento da pseudo dittatura “
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