di Enrico Perilli
Stiamo precipitando, velocemente, in un nuovo mondo dove l’orrore non inorridisce. Come nell’epocale film L’Odio di Kassovitz (1995) che nella sequenza di apertura mostra una persona in caduta libera, che man mano che precipita non si cura che il problema sarà l’atterraggio: il problema non è la caduta ma l’atterraggio. Così, anche noi occidentali non ci curiamo di quello che verrà dopo le guerre che stiamo animando e sostenendo, direttamente e indirettamente, rivendicandole o fingendo di prenderne le distanze.
Come vivrà emotivamente un bambino di Gaza che ha perso padre, madre, fratelli, che è costretto a scappare come un animale braccato da un luogo ad un altro, sotto le bombe tra i corpi straziati dei suoi amici, le immagini dei cittadini israeliani sulla spiaggia di Tel Aviv che festeggiano la notizia della morte di Nasrallah in bikini mentre sorseggiano uno spritz? Cosa ne sarà del futuro di questo bambino traumatizzato e privato della sua infanzia? Come vorrà riscattarsi da adulto? E se questo accade anche in Libano, Iran, Siria, Yemen, Cisgiordania, Iraq, che futuro si sta costruendo Israele?
In queste ore Israele ha ucciso tutta la governance di Hezbollah e invaso il Libano conseguendo una serie di vittorie tattiche ma non strategiche, ha ribadito il suo dominio ma non sta costruendo un futuro per il paese, bensì, per Netanyahu: finché c’è guerra c’è speranza.
In passato l’esercito e i servizi segreti dello stato ebraico hanno sistematicamente eliminato i capi di Hezbollah e Hamas, ma non hanno estinto queste organizzazioni, anzi ne sono uscite rafforzate numericamente e ideologicamente.
Il genocidio e i massacri continui di civili pongono Israele in una posizione di grande isolamento, un cittadino israeliano sente su di sé lo sguardo inorridito del mondo, non dei governi suoi alleati ma sicuramente degli uomini e delle donne del pianeta.
L’IDF uccide senza distinzione combattenti e civili: ha ucciso più civili Israele in un anno che Hamas e Ezbollah e altre formazioni sue nemiche in 50 anni!
Tortura, abusa, sequestra, ricatta e rivendica con orgoglio il diritto e l’abilità nel farlo! Come potrà vivere mai in pace un paese che tratta i suoi vicini in questo modo? Un paese che costringe milioni di uomini e donne innocenti a vivere di stenti, profughi senza casa, in fuga, senza cibo, acqua, speranza.
E se ci fosse un’altra strada? Se decidesse di ritirarsi dai Territori Occupati e accettasse la nascita di uno Stato palestinese garantito dalle Nazioni Unite? E se perseguisse i crimini dei coloni, cosa accadrebbe? Che fine farebbe Hamas? Forse i palestinesi troverebbero finalmente pace e speranza e non si farebbero rappresentare più da chi vorrebbe continuare la guerra. L’Irlanda del Nord, nelle tante diversità, ne è un esempio.
La strada presa è un’altra invece, guerra e sterminio senza distinzione tra combattenti e civili. Tutto questo può accadere, sia ben chiaro, con il sostegno degli USA e l’acquiescenza servile dell’Europa.
Su questo è necessario impegnare una riflessione. Biden, da sempre un amante del dominio americano a mano armata, al mattino chiede il cessate il fuoco, il pomeriggio consegna le armi ad Israele che la sera le userà per ammazzare i palestinesi. La farsa è totale, mesi di annunci di un accordo vicino utili solo a far prendere tempo a Netanyahu per organizzare gli attacchi. I democratici americani sono impermeabili alle proteste di milioni di studenti e uomini e donne che da un anno riempiono le strade delle principali città e campus. I vertici del partito di Biden e Harris sono convinti che il sostegno ad Israele sia una garanzia elettorale da una parte e strategica nelle dinamiche geopolitiche, dall’altra, confermando ancora una volta il legame con l’industria bellica e una visione coloniale dei rapporti con il resto del mondo. Reclamare il voto per la Harris invocando la tutela dei diritti civili, sacrosanti, non fa altro che cristallizzare l’immagine di una candidata che si differenzia da Trump solo su un questo tema; per il resto, è timidissima sul proibire l’uso delle armi che ogni giorno sono strumento di morte nelle scuole e oltre, assente sulla crisi sociale, San Francisco appare negli ultimi anni come lo Zoo di Berlino di Cristiana F. e impalpabile sulla riforma sanitaria che Obama ostinatamente perseguì. Inoltre, si legittima il tentativo delle destre di mettere in contrapposizione i diritti civili con quelli sociali e il PD italiano ha imparato bene la lezione dal mentore nordamericano seguendolo soprattutto negli sbagli.
Addolora vedere l’Europa ridotta letteralmente a provincia dell’Impero USA, sono lontanissimi i tempi in cui Craxi, Andreotti e Berlinguer dialogavano con il mondo arabo, creando un ponte sul mediterraneo; ora Meloni e Schlein parlano di tutto, sicurezza, autonomia differenziata, Rai, ma mai una proposta sulla guerra in Medio-Oriente, al di là di generiche e scontate dichiarazioni di facciata.
Ancora di più indigna la violenza della Germania che perseguita i pacifisti nel tentativo di esorcizzare un senso di colpa mai elaborato e rimosso ma, come insegna Freud, il rimosso è destinato a tornare e infatti l’ AFD, partito di estrema destra, fa il pieno di voti.
Non va meglio per le, una volta iconiche, democrazie nord-europee, allineate su tutto con gli USA (Olaf Palme non riconoscerebbe il suo partito e il suo paese), schierate nella guerra Nato contro la Russia, al pari di tutto il vecchio continente che, in caso di vittoria di Trump, si ritroverebbe da solo con il cerino in mano e un missile nucleare puntato contro.
Europa che elimina l’idea di una uscita diplomatica dal conflitto con la Russia – e qui sono davvero fuori misura alcuni falchi guerrafondai, di nuovo tra le file progressiste, come le deputate del PD, Quartapelle e Picierno, che chiedono la revoca della cittadinanza italiana per Jorit e pretendono l’intervento dei servizi segreti per scoprire chi ha affisso i manifesti in cui c’è scritto che Italia e Russia non sono nemici, ma tacciono sui massacri a Gaza- e si affida a Draghi che, fedele come sempre all’Impero, propone di alzare i finanziamenti statali all’industria bellica, alla faccia del sistema sanitario ormai collassato e della povertà in aumento.
Segue a ruota, naturalmente, la manipolazione a rete unificate che subiamo tutti i giorni, indistintamente dall’orientamento politico delle testate e delle emittenti. Se da Vespa e Mieli te lo aspetti, ascoltare l’inviato del tg3 negli Usa parlare come un colono israeliano è qualcosa che ferisce e anche qui il pensiero va al compianto Sandro Curzi.
L’omologazione culturale e politica dell’informazione segue un indirizzo e purtroppo una tendenza ben precisa: passivizzare e desensibilizzare l’opinione pubblica. Si rappresenta un consenso che non c’è sulle politiche di guerra, gli elettori di quasi tutti i partiti sono molto più tiepidi o chiaramente contrari al sostegno bellico ad Israele e all’Ucraina rispetto alle dirigenze. Il sentimento di rassegnazione indotto, splendidamente rappresentato da Fisher in Realismo Capitalista, è la migliore garanzia per poter accentrare le decisioni nelle mani di élite.
Quello che ulteriormente indigna è la totale desensibilizzazione di fronte a decine di migliaia di innocenti massacrati, donne, uomini e bambini. Di nuovo il circo mediatico si impegna per dare una copertura ideologica a questi massacri, ogni sera ascoltiamo affermazioni che pongono Israele come il garante dei valori occidentali, sostituito al bisogno dall’Ucraina. In questa narrazione il razzismo e il doppio standard occidentale emergono limpidi e luminosi: l’invasione del Libano da parte di Israele è considerata una dolorosa scelta difensiva ed esistenziale; Putin che entra in Ucraina, in un territorio di confine come il Donbass, straziato da un decennio di guerra, invocando la necessità di creare condizioni di difesa per il suo paese viene definito come il nuovo Hitler pronto a conquistare l’Europa! Le invasioni sono accettate in base a che le fa! I processi di indipendenza ed autonomia anche, il Kossovo si, il Donbass no. I tremila morti americani delle torri gemelle rappresentano un crimine contro l’umanità indimenticabile; i 42mila palestinesi uccisi a Gaza un effetto collaterale da attribuire ad Hamas. Potremmo continuare a lungo, ad esempio, restano nelle pagine degli orrori del Novecento le centinaia di iracheni arsi vivi a Falluja dalle truppe americane durante l’invasione dell’Iraq, contro l’ONU e contro il diritto internazionale, che Assange ci ha raccontato sacrificando la sua libertà, alla faccia della democrazia.
Gia, il diritto internazionale, altra vittima di Israele, paese con il più alto numero di risoluzioni ONU ignorate, di uccisioni di civili in operazioni nelle quali pur di colpire un target non si fa scrupolo di ammazzare decine di innocenti, tra essi operatori umanitari e personale ONU. L’uccisione di Nasrallah è costata la vita a decine di civili neanche menzionati. Nulla indigna questa parte di mondo, neanche la visione messianica ormai egemonica nello stato ebraico, che considera i territori palestinesi, quel che ne rimane, terra da conquistare in nome di Dio. Guerra santa in nome di Dio che deprechiamo solo quando il dio è Allah!
E qui si apre un altro doloroso capitolo, il nostro razzismo che ci porta a considerare quasi tutti i popoli non occidentali come involuti, arretrati, incivili, pericolosi e per questo da redimere e correggere. Tanti secoli non ci hanno insegnato niente, dalle crociate alla conquista delle Americhe, dall’Africa e alle Indie l’atteggiamento è sempre uguale, coloniale e dunque razzista. La discriminazione cessa di esistere, non sempre, solo quando lo straniero è integrato, dove integrato vuol dire omologato. Il rispetto delle differenze vale solo all’intero dei nostri confini.
Crollato il Muro di Berlino non è finita la Storia ma è iniziata un’epoca barbarica, violenta. Le immagini di leader mondiali che firmano bombe che cadranno su innocenti, uomini e donne e bambini, non inorridiscono ma eccitano, le foto di bambini smembrati non suscitano alcun sentimento, continuiamo a discutere di ministri e amanti, di scambio di seducenti sguardi tra miliardari e prime ministre, pur di non sentire la colpa della nostra indifferenza e rassegnazione, la stessa che portò tedeschi ed italiani a non interrogarsi sulla deportazione di ebrei – quanto ci sarebbe da dire, se si avesse il coraggio, su trauma e coazione a ripetere sedimentati nell’inconscio collettivo di un popolo- rom, omosessuali ed oppositori politici negli anni trenta e quaranta del novecento. Ora come allora ci stiamo voltando da un’altra parte.
Il problema rimane sempre l’atterraggio.
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