Percezione della sicurezza e assenza di comunità all’Aquila. Il caso della ronda prevista al Parco del Castello 

Percezione della sicurezza e assenza di comunità all’Aquila. Il caso della ronda prevista al Parco del Castello 
19 Set 2023

di Alessandro Tettamanti

La notizia riportata da il Messaggero, è che oggi un gruppo di cittadini residenti, alle 17, si ritroverà davanti i giardini del parco del Castello, in Via Garibaldi, per –  scrive il giornale –  “avviare una serie di ronde per controllare palmo a palmo l’area del Castello”, nella speranza – dicono gli organizzatori nel pezzo –  “che questo gesto possa servire anche da stimolo per tutti coloro volessero avvicinarsi  e dare il proprio contributo anche nei prossimi giorni”. 

Per fare cosa, delle ronde? Gli spazi andrebbero presidiati sì, ma non per fare delle ronde, bensì per costruire relazioni, legami, in una parola comunità.

Se al contrario si creano dei vuoti questi verranno riempiti da chi li occupa. E purtroppo il centro storico dell’Aquila appare pieno di vuoti, in quanto si sta riavviando per lo più come luogo dove consumare e poi andar via, un po’ come un centro commerciale o un parco divertimenti. Non è vissuto abbastanza. 

A provare a viverlo sono i più giovani, la cui ricomparsa in città sta divenendo un problema.

Tra loro c’è anche chi commette reati: spaccia, fa il prepotente, provoca risse ed è violento. Lo raccontano i fatti di cronaca. Gli riesce tanto più però se accanto non c’è nessuno, non ci sono adulti intenti a far cose, se non ci sono spazi specifici dedicati agli adolescenti e le adolescenti e non si propongono politiche per promuovere attività  culturali e sportive per i giovani. Senza tutto questo, in generale, i ragazzi e le ragazze sono più portate ad essere incontenibili, come loro giusta natura.

L’attività di controllo e repressione in questo Paese e in Europa è invece delegata alla forza pubblica, se non altro perché per metterla in pratica si ha bisogno di una preparazione specifica che non tutti hanno, al contrario – se improvvisata – si rischia di fare solo danni e peggiorare la situazione.

Quindi ben venga se un gruppo di residenti decide di attraversare il Parco del castello, ma non per “controllare”, magari invece per parlare con i ragazzi e le ragazze. Magari, coinvolgendo qualche assocazione che si occupa di questo, per provare  mettere in campo lì delle attività. Insomma per riempire quel vuoto nel quale invece è facile prendano piede episodi di microcriminalità.

Perché una cosa deve essere chiara, non può esistere sicurezza senza una comunità.

Gli strumenti repressivi come quello dei Daspo e della video sorveglianza, stanno già venendo ampiamente utilizzati senza ottenere grandi risultati, perché da soli non saranno mai sufficienti. Non possono infatti di certo rimpiazzare il controllo comunitario, quello fatta dalle stesse persone, dalla presenza di più generazioni negli stessi spazi. Affianco al quale agisce il normale controllo delle forze dell’ordine.

E’ un dato di fatto che negli ultimi mesi la percezione della sicurezza in città sia diminuita sensibilmente a fronte di episodi che di certo preoccupano. La sicurezza è importante per tutti e tutte e non è un tema né di destra né di sinistra. 

L’Aquila si sta trovando a fronteggiare fenomeni che coinvolgono tutte le città medio grandi del Paese, tutti quei territori insomma dove più forte si stanno facendo sentire le conseguenze delle sempre più acute   diseguaglianze economiche e di una spaventosa povertà educativa.

A tal proposito quando si parla di proporre attività,  si parla anche di cultura, ma di una cultura che dovrebbe essere accessibile, che serva da stimolo per gli e le adolescenti, perché questa sarebbe prevenzione. Invece si assiste all’Aquila ad una privatizzazione feroce degli spazi pubblici che vengono chiusi durane le proposte culturali più interessanti, inseguendo un’idea di magnificenza che fa rima con esclusività e classismo. Altro che prevenzione.

Ai giovani viene proposto ben poco. Se in centro non vengono affiancate altre attività oltre quella del bere alcool, cosa ci si dovrebbe aspettare? Dove sono le biblioteche pubbliche, le sale prove musicali a basso prezzo, i cinema in centro? 

La verità è che si è ricostruito senza pensare ai giovani.

Un’utile proposta sarebbe allora quella  di riaprire uno spazio grande, in pieno centro storico, come quello dell’ex asilo occupato, per dare una risposta in termini di attività e offerta sociale per i giovani. Destinare l’asilo all’aggregazione, al sociale, all’attivismo (inteso anche come corrente pedagogica), alla creazione e alla fruizione accessibile di cultura, farlo diventare – anzi tornare ad essere – un laboratorio, sarebbe un primo passo per iniziare a spostare il tiro rispetto l’idea di città che finora è stata calata sul centro storico (nelle periferie non sembra essercene una), tutta impostata su decoro, grandi eventi e turismo. 

Anche l’attività sportiva di base in questa città, checché se ne dica, non viene certo agevolata e finanziata nella giusta maniera. Chi prova a farla, come  l’esperienza di United L’Aquila – ma non solo – aprendo le porte a tutti coloro che vogliono giocare a calcio con particolare attenzione per le fasce disagiate, si trova di fronte ad una scarsità di infrastrutture, costi molti alti, risorse insufficienti.

Alla percezione della sicurezza, ad ogni modo, va data la massima importanza. E’ anche vero però che questa percezione di insicurezza sta iniziando anche ad auto alimentarsi tramite l’intervento, mai neutro, dei media: social e tradizionali. 

Stupisce infatti che Il messaggero dia spazio acriticamente ad un’attività come quella delle ronde, quando ci sarebbe un problema quantomeno di legittimità che andrebbe riportato. Fenomeni del genere, come detto, possono creare nuovi problemi di ordine pubblico e danno l’impressione sia possibile farsi giustizia da soli.

Anche le ultime dichiarazioni del sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, destano alcune preoccupazioni. Spinto dal clima d’opinione sempre più acceso – in una situazione venutasi a creare sotto la sua amministrazione – qualche giorno fa il primo cittadino ha dichiarato che oltre all’aumento di pattuglie sta  valutando  di “attivare collaborazioni con privati”.

Far entrare forze private nella gestione dell’ordine pubblico,  piuttosto di far diminuire gli episodi di violenza potrebbe dar vita ad un conflitto sociale sempre più difficilmente controllabile.

I ragazzi minori non accompagnati ospiti delle case famiglia presenti in città sono spesso additati come IL problema quando si parla di episodi di micro criminalità. Un argomento che va affrontato, senza però generalizzare. E’ un tema divenuto anche nazionale, ed è molto delicato. Chi fa il delinquente ed il prepotente deve pagare (essere rieducato), deve esserci certezza della pena. 

Spesso sono gli altri ragazzi delle case famiglie i primi ad esser vittime, come testimoniano svariate denunce. Ma stiamo sempre parlando di ragazzi molto giovani, alcuni dei quali se inseriti in progetti calibrati possono tornare sui binari giusti. Senza contare il fatto che questi ragazzi a un certo punto compiono 18anni e vengono lasciati in strada. Anche qui servirebbe l’attuazione di progetti, pur presenti nel Piano sociale, per continuare a seguirli, almeno se meritevoli, fino a 21, come previsto dalla legge. 

Delle Case famiglia che li ospitano è lecito presupporre ci sia chi lavora bene, chi meno bene e chi male. Vanno dunque premiate quelle che fanno bene il loro lavoro e messe sotto la lente d’ingrandimento quelle che non lo fanno. Va sempre ricordato che sono le istituzioni stesse a chiedere loro di ospitare nuovi ragazzi e che nell’ultimo anno queste richieste sono aumentate. Come già scritto da questo giornale allora, il lavoro ben svolto degli operatori e delle operatrici andrebbe esaltato e messo nelle condizioni di esser svolto nel miglior modo possibile. Costoro fanno parte della soluzione del problema, non del problema. Sono queste le risorse di cui si ha più bisogno, non di forze di polizia privata.

Questi ragazzi adolescenti che vengono da altri Paesi, allo stesso tempo, vanno trattati dalle istituzioni come nuova cittadinanza, dando loro diritti ed opportunità esattamente come a coloro che nascono in italia. Invece in entrambi i casi- ovunque si nasca-  non ce ne sono abbastanza. 

L’opinione pubblica,  aiutata dalla stampa, tende troppo spesso  a separare in maniera eccessiva gli italiani dai non italiani ( “egiziani”, “marocchini”, “albanesi” ,”tunisini” ), quando non è chiaramente (solo) una questione etnica. Si tende cioè a pensare che la responsabilità sia sempre dei figli di qualcun altro, meglio se non aquilani, negli ancora se non italiani. Non è sempre così.

Per contro bisogna stare attenti a non lasciar dirottare il problema verso una questione di odio etnico, come spesso nell’area politica dell’ estrema destra si tende a fare.

C’è un episodio in tal senso che va raccontato,  per prevenire eventuale derive che qualcuno poi potrebbe avere interesse a cavalcare. 

Nella terribile violenza e tentato stupro dello scorso giugno a Costa mascerelli nei confronti  di una giovane donna, per cui è indagato un ragazzo di origine nord africana , sempre la testata il Messaggero ha voluto soffermarsi su un particolare. Raccontando i segni lasciati dell’orribile violenza, il giornalista si è voluto soffermare su un segno lasciato da un anello, che avrebbe lasciato sul corpo della donna una scritta in arabo. 

Un particolare quello della scritta in arabo impressa sulla pelle che non ricopre nessuna funzione di pubblico interesse, se non quella di soffiare sull’odio etnico. Particolare che è stato ripreso anche dall’altra testata cartacea locale, Il Centro, giusto lunedì scorso per dare notizia dell’inizio del processo a carico dell’uomo. Particolari che passano dunque di penna in penna, che contribuiscono al formasi dell’opinione pubblica, senza pensare in senso critico a cosa può voler dire divulgare un dettaglio del genere, su cui tra l’altro non si può che avere una vaga contezza. Per fare cronaca sarebbe stato più che sufficiente raccontare di come la terribile violenza dell’uomo abbia lasciato segni importanti sul corpo della donna provocati da calci e pugni. Non avrebbe tolto niente alla gravità dell’accaduto e alla condanna incondizionata dell’aggressore che merita un processo e una conseguente, proporzionata, pena.

Infine, la preoccupazione delle famiglie che vivono il territorio aquilano va presa nella giusta considerazione da parte delle istituzioni , e vanno prese le giuste misure per contrastare le violenze. E’ sbagliato però pensare che solo il livello securitario e repressivo sia quello da percorrere e intensificare, addirittura con la creazione di ronde di cittadini, mentre è sempre più evidente come sia necessario lavorare sul piano sociale  e culturale della prevenzione e del contrasto alla povertà educativa, mettendo in atto adeguate politiche di coesione e integrazione che tengano conto delle esigenze degli adolescenti.


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