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Minori non accompagnati, parlano due Case famiglia: “basta generalizzare, anche le istituzioni devono fare di più”

“Basta generalizzare”, è il grido che arriva da alcune Case famiglia del territorio aquilano che ospitano minori non accompagnati. 

Questi ultimi infatti finiscono spesso al centro delle polemiche per alcuni episodi di cronaca e si ritrovano ad avere costantemente, quanto indistintamente, il dito puntato contro. 

Se in centro c’è troppo rumore, accade una rissa, si rilevano episodi di spaccio, la colpa è dei “giovani”, in particolare di quelli “stranieri non accompagnati”, una sottocategoria molto funzionale a prendersi la colpa per tutti i mali.

Eppure c’è chi lavora 24h per educarli e provare a dare loro gli strumenti necessari per affrontare la vita adulta. Sono ragazzi che vengono da altri Paesi, prima  sopratutto dall’Albania e  paesi dell’Est Europa, adesso anche da quelli del Magreb.

“Alcune case famiglia lavorano meglio di altre, certo, ma si ricordi che noi siamo la medicina e non il problema”, interviene Goffredo Juchich responsabile di una delle più virtuose strutture inserite nel tessuto urbano, “Crescere insieme” che ospita a Pettino una dozzina di ragazzi. 

 “Sta accadendo – continua Juchich – ci siano molti arrivi che ci mettono sotto pressione, perché c’è la necessità di rispondere alla domanda, che è un’esigenza, di ospitare minori stranieri che ci inviano i Comuni o le stesse Forze dell’ordine. E sì, certo, si può rispondere in modi diversi, tenendoli tutto il giorno a far niente, o facendogli fare sport, per esempio, e creare tante altre attività rivolte all’integrazione, come facciamo noi”.

“Crescere insieme è presente ormai da anni sul territorio – continua il responsabile –  i nostri professionisti, ogni giorno, lavorano in prima linea per sostenere i ragazzi a scoprire le loro risorse, rispettare l’altro e le regole comunitarie, trovare la propria strada. Assistente sociale, psicologa ed educatori si confrontano con le loro complessità, fanno la propria parte tentando di trasformare i punti di forza individuali in opportunità concrete, le difficoltà e gli sbagli in occasioni di crescita e cambiamento. Un lavoro continuo, quotidiano, difficile”. 

“Nel corso del tempo – ricorda Juchich – abbiamo accolto oltre 60 minori in condizione di abbandono o di fragilità sociale, e con molti di loro siamo riusciti a raggiungere risultati importanti.Piuttosto che generalizzare e puntare il dito contro al primo episodio, quello che servirebbe  è un tavolo permanente tra noi, le forze dell’ordine, gli psicologi e tutti gli attori che operano in questo campo. Rafforzerebbe la rete sociale di cui abbiamo bisogno, mentre predicare di mettere più telecamere serve a poco”. 

“Abbiamo messo in campo anche due progetti per i neo maggiorenni – conclude il responsabile di Crescere Insieme – “Porto sicuro”, con cui abbiamo messo a disposizione un alloggio per chi, tra i più meritevoli, non ha raggiunto ancora un’autonomia e ha bisogno di una continuazione dell’assistenza per qualche tempo; e “spazio incontro”, una sorta di sportello di orientamento al lavoro dove aiutiamo anche ragazzi che non sono nostri utenti a scrivere un curriculum e più in generale  cerchiamo di facilitare l’intorno tra la domanda e l’offerta di lavoro”.  

Una nuova comunità per minori non accompagnati è Il Celestino.

Anche qui i ragazzi ospitati sono pochi, “una dozzina” afferma la responsabile Francesca Giorgi che racconta come l’ambiente di Piazza d’armi sia “stimolante per i ragazzi che hanno a che fare tutti i giorni con tante persone, in un luogo che è dentro il mondo, non certo un ghetto lontano da tutto e da tutti”.

“Abbiamo aperto lo scorso ottobre – continua Giorgi – perché c’è  molta difficoltà ad accogliere i minori in quanto adesso sono tantissimi e il Comune ce lo ha richiesto, prima non li avevamo mai presi. Dodici per noi è già un buon numero, perché secondo noi fare comunità con più di 15 ragazzi incide negativamente sul percorso educativo perché non ci si può dedicare sufficientemente”.

“La situazione generale – continua la responsabile de Il Celestino – è abbastanza complessa, perché è vero che alcuni possono indirizzarsi verso una vita dissoluta, ma non sono molto pochi rispetto alla grande quantità. Su dieci uno può essere problematico, ma anche in quel caso se è ben seguito e si sente accolto le cose possono andare nel verso giusto. Spesso accade che quando arrivano hanno già girato altre comunità e, quando succede, l’impressione è che siano stati trattati un po’ come dei numeri, cioè non siano stati valorizzati nella loro identità e nella loro storia, magari non gli è stato chiesto neanche da dove vengono. Se hai 30 minori dentro una villetta è difficile lavorare, ti limiti a farli mangiare e dormire e a contenerli, ma questo fa sì che non ci sia un buon equilibrio e un buon clima”.

“Tendenzialmente i ragazzi si conoscono tra loro – prosegue Giorgi – mi riferisco a quelli che stanno nella stessa città, quindi anche quello ‘bravo’ conosce quello meno ‘bravo’ magari di un’altra casa famiglia. Quindi il rischio è che se seguiti male possano cedere e prendere abitudini malsane e poi ci si trovi di fronte ad episodi di micro criminalità come spaccio e furti. Va considerato che nella stragrande maggioranza  i ragazzi arrivano quasi maggiorenni, quindi hanno già una loro personalità e una storia ben definita. Questo significa che bisogna subito iniziare a lavorare con loro per dargli un futuro, perché non c’è molto tempo. In al senso bisogna anche considerare che hanno la pressione delle loro famiglie di origine che si aspettano che i ragazzi migliorino anche la loro vita”.

“Imparare l’italiano inoltre non è facile – racconta la responsabile – perché per esempio il Centro Per l’Apprendimento (CPA)  è in affanno, magari il primo corso disponibile è tra otto mesi, quando il ragazzo compie diciotto anni. Insomma anche le istituzioni sono in affanno e non aiutano a sufficienza. Questo complica tutto. Ultimamente abbiamo chiesto anche una delucidazione riguardo la loro iscrizione presso il Centro per l’impiego  perché quello dell’Aquila ci dice che non possono iscriversi, cosa che invece avviene altrove. La discriminante sarebbe il compimento del ciclo di studi della scuola dell’obbligo, ma la materia è nebulosa e ci sono delle contraddizioni che vogliamo continuare ad approfondire”.

“Quando è stato possibile abbiano iscritto i ragazzi a corsi professionalizzanti che è qualcosa di molto opportuno – continua Giorgi – anche perché molti sono bravissimi in alcuni campi lavorativi.  Per esempio uno dei nostri ragazzi adesso verrà assunto come parrucchiere in un’attività qui all’Aquila. Certo si  posso anche attivare dei corsi in struttura, ma quello che serve sono i certificati e le concrete possibilità che si possono dare a questi ragazzi spesso però sono davvero poche. Questa nuova cittadinanza andrebbe invece maggiormente valorizzata perché se accolti bene, quando arrivano nel primo collocamento, sono ragazzi bravissimi. Più difficile quando li prendiamo da ricollocamenti, quando sono già scappati da dieci case famiglia per esempio, perché è probabile che  hanno sviluppato già certe amicizie devianti e hanno vissuto già in un certo modo non consono. Questo però mi fa pensare che dalle strutture scappano perché non sono stati accolti bene e non gli viene data la possibilità di trovarsi una strada qui”.

“Nel nostro servizio – ammette Giorgi –  c’è chi lavora meglio e chi peggio, questo è innegabile, però non c’è nessun controllo in tal senso. Per noi di Celestino l’accoglienza dei minori non accompagnati è un esperienza che sta nelle nostre corde, rientra in tutto il percorso che abbiamo sempre fatto, cioè sempre con uno spirito che va al di là del guadagno, e i ragazzi questo lo percepisco perché sono intelligenti. Voglio infine raccontare un aneddoto – conclude la responsabile – c’è un ragazzo che hanno arrestato qui da noi per fatti avvenuti in precedenza. Appena è uscito dal carcere ha chiamato me per prima. Quando per loro diventi una persona di riferimento, a prescindere dal collocamento, questa cosa loro la sanno riconoscere. Io mi comporto un po’ come una mamma che, anche se il figlio sbaglia, glielo fa capire anche a brutto muso, ma poi subito si rimette all’opera per indirizzarlo sulla giusta strada”.

La strada per crescere si sà, è lunga e tortuosa, per tutte e tutti, in particolare se ci si ritrova in un altro Paese di cui non si conosce nulla. La nostra legislazione per fortuna prevede che un minore non accompagnato sia sempre preso in carico dallo Stato, ma a questo le istituzioni devono poter affiancare le giuste risorse e gli adeguati servizi. Si rimane spesso sorpresi dall’utilizzo massiccio di alcuni strumenti repressivi come quello dei Daspo urbani, che allontanano chi commette piccoli reati da alcune zone della città, quelle centrali, senza però affiancare a questa misura nessun’ altra di carattere educativa verso il ragazzo che finisce per sentirsi più escluso e ufficialmente antagonista. In questo modo si finisce solo per spostare, concentrandolo, il disagio un po’ più in là dalle vetrine del Centro. L’Aquila ha bisogno invece di pensarsi maggiormente come una città multiculturale capace di calare politiche sociali adeguate con una progettualità importante che intercetti i bisogni reali del territorio. Le associazioni e le capacità non mancano, basterebbe controllare chi fa meglio il proprio mestiere e premiarlo, a scapito di chi invece non dà un buon servizio.

E’ sterile, quanto ormai insopportabile, ascoltare la solita lagna sui disordini in centro, quando si è ridotto ad un consumificio piuttosto elitario, dove non c’è spazio per giovani squattrinati e  che non prevede altre possibilità che quella di stare seduti ai tavoli per bere.

E’ necessario invece aprire nel territorio e in Centro spazi di aggregazione e socialità consapevole, dove i più giovani siano i protagonisti con attività e laboratori seguiti da equipe multidiscilpinari, e si promuova il contatto tra culture diverse, tramite anche la presenza di figure specializzate. Solo così anche i ragazzi, tutti, compresi i minori stranieri, si sentiranno meno isolati e più integrati, contenuti da una città solidale che non gli punta il dito contro, ma gli tende la mano. 

Alessandro Tettamanti

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