di Alessandro Tettamanti
Un modo di mettersi in cammino, ascoltare, conoscere.
Sarebbe più vicino alla pratica zapatista che a quella securitaira della ronde, la pratica a cui stanno dando vita spontaneamente alcune madri all’Aquila.
Quella che in molti su stampa e social network chiamano “ronde” (il cui significato da vocabolario è pattugliamento di tipo militare o che a esso rimanda) , ma che in realtà non lo sono.
Le parole sono importanti diceva qualcuno, mentre qualcun altro, in passato, nell’ambito delle scienze della comunicazione, ha parlato anche di “guerriglia semiologica” sulle parole, ovvero della battaglia per dare un significato piuttosto che un altro a qualcosa, e di come questo possa poi significare molto, a partire dal linguaggio, in termini sociali e politici.
Da qui il cortocircuito.
“Vorrei specificare che la parola “ronda” è provocatorio” si è sentita di specificare su Facebook Cristiana Di Crescenzo, che si definisce come “mamma della villa” e che è stata la promotrice della passeggiata al parco del Castello di martedì scorso.
“Noi agiremo come elemento di disturbo e osservazione e lavoreremo per un miglior funzionamento delle politiche sociali. I ragazzi abbandonati spesso non hanno alternative. Capire, comprendere, accogliere. Si può fare la differenza se si vuole veramente”, continua il post, scritto dopo l’uscita di un articolo che ha diffuso l’iniziativa del Parco del Castello, al quale ha partecipato anche un’altra madre, Francesca Ciuffetelli. Le due donne sono rimaste ore a parlare con alcuni ragazzi, per lo più di origine straniera, che erano seduti su una panchina.
“Ci hanno raccontato le loro storie e devo dire che son rimasta colpita – dichiara Cristiana Di Crescenzo ad Abruzzo Sera – spesso questi ragazzi appena maggiorenni non hanno i documenti e si ritrovano in mezzo alla strada senza la possibilità di poter fare nulla”.
La mamma della villa racconta che dopo aver iniziato a parlare con alcuni ragazzi molti altri si sono avvicinati segnalando i loro, più svariati problemi, tra cui quello di mangiar poco e non aver nemmeno l’essenziale per vestirsi. Ai ragazzi deve esser sembrato strano che qualcuno, che non fa parte delle forze dell’ordine, si interessasse a loro.
“Come madre sono rimasta impressionata. Nulla giustifica però quello che a volte alcuni di questi ragazzi fanno quando si ritrovano in gruppo. Mio figlio ad esempio ha avuto un problema proprio con alcuni di loro, trovandosi in una situazione che poteva finire molto male. Questo mi ha spinto, forse ingenuamente, a dover fare qualcosa visto che le istituzioni non sembrano da sole riuscire a dare le risposte che cerchiamo”.
Altre iniziative simili sono in corso in città , e chissà se alla fine riusciranno ad andare nella direzione di colmare quel vuoto sociale presente in centro. Nella direzione di costruire una comunità, piuttosto che in altre molto più distruttive e quindi pericolose.
Di certo l’argomento migranti è diventato il tema politico principale a livello nazionale, ed è quindi al centro della battaglia politica di questi giorni. Facile dunque possa essere oggetto di strumentalizzazioni.
Il Governo Meloni è al centro delle polemiche per il numero di sbarchi che si sta verificando sulle coste, elevatissimo rispetto a quello durante i precedenti governi, dovuto anche ad una forte instabilità di alcuni Paesi del Maghreb, primo fra tutti la Tunisia.
Piuttosto che insistere sulle redristribuzioni dei nuovi sbarchi in tutta Europa, il Governo continua a parlare di voler mettere fine alle partenze (come?) e ha puntato sull’apertura di Centri per il rimpatrio (CPR), rispetto ai quali però molti governatori di Regione, alcuni anche di centro destra, non sono affatto entusiasti.
La prima domanda è aprirli dove? La seconda: per rinchiuderci gli irregolari per quanto tempo? Perché tutti sanno che se non si raggiungono accordi con i Paesi d’origine allora il tempo di detenzione potrebbe estendersi e portare a conflitti sociali importanti sui territori, oltre che porre una questione di legittimità (e umanità) dell’operazione.
In tutto questo c’è L’Aquila, e i tanti ragazzi ospiti delle case famiglia che son sempre di più, inviati qui dalle Prefetture e le Questure, e con cui la città inizia a rapportarsi andando oltre il solo mondo degli operatori e delle operatrice, considerando anche il fatto che questi ragazzi a un certo punto compiono 18anni ed escono dalle strutture, e vanno in strada.
Di loro, come di tutte e tutti noi, è necessario prendersi cura. Sono anche loro figli di qualcuno.
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