Fratelli d’Italia, l’insostenibile leggerezza dell’essere

Fratelli d’Italia, l’insostenibile leggerezza dell’essere
21 Mag 2023

di Fabio Pelini

Da quando Giorgia Meloni ed il suo partito hanno vinto le elezioni politiche, si è intensificato il dibattito attorno alla consueta dicotomia fascismo/antifascismo, alimentata non solo da chi si interroga legittimamente su cosa sia oggi il partito dei Fratelli d’Italia, ma anche e specularmente da chi, come il presidente del Senato La Russa e il ministro Lollobrigida, con le sue improvvide dichiarazioni, lascia intendere quel che già si sapeva: e cioè che la Destra italiana non ha intenzione alcuna di fare completamente i conti con il suo passato. Lungi dal voler paventare imminenti pericoli di fascismo, quel che davvero risulta interessante, per comprendere fino in fondo la direzione imboccata dal partito di maggioranza relativa in Parlamento e in molte amministrazioni locali, è la sua concezione della democrazia rappresentativa e, più in generale, dell’assetto dei poteri dello Stato.

Prendiamo il consiglio comunale dell’Aquila. L’amministrazione di centrodestra era stata chiamata venerdì scorso a confrontarsi in un consiglio straordinario su di un ordine del giorno delle minoranze relativo alla ricostruzione delle scuole. Non proprio un tema da poco. Anzi, una di quelle questioni centrali nella vita di una comunità, di quelle che toccano da vicino la quotidianità di molti, in un modo o in un altro. Non solo perché, lapalissianamente, riguarda i luoghi fisici attorno ai quali genitori, docenti, personale amministrativo programmano le proprie giornate e l’organizzazione delle proprie esistenze, ma anche per tutto quel che ruota attorno ai quei micro-universi: i flussi di traffico, i parcheggi, le piccole e grandi attività commerciali ad essi correlati; insomma, decidere dove e come ricostruire una scuola apre inevitabilmente un mondo di riflessioni e valutazioni. Se a questo già oneroso argomento aggiungiamo le criticità emerse da un tema strettamente correlato come il dimensionamento scolastico – che rischia di condurre al taglio di almeno una dozzina di istituti comprensivi – anche i cittadini meno esperti comprendono appieno quanto importante fosse quella seduta di consiglio comunale per confrontarsi, sciogliere alcuni nodi e dare indicazioni chiare alla città. Il tutto, inequivocabilmente, nel rispetto dei ruoli di maggioranza e opposizione.

E invece è stata l’ennesima occasione persa. Il Sindaco Pierluigi Biondi e i suoi hanno dapprima ascoltato gli interventi dei vari addetti ai lavori del mondo della scuola, poi al momento della replica il Primo cittadino ha espresso, con la sua consueta veemenza e con un malcelato senso di fastidio, tutta la sua distanza da quanto aveva appena ascoltato e, molto probabilmente, letto nelle settimane precedenti. Ora, come si dice giustamente in questi casi, chi ha vinto le elezioni ha il diritto oltre che il dovere di governare e portare avanti il suo programma, se solo si riuscisse a sapere qual è, vista l’aleatorietà di quanto scritto sul tema nel programma di mandato. E allora, proprio in virtù di questo, quale migliore occasione di un confronto non solo con le minoranze, ma anche con i rappresentanti della scuola sul territorio, che quelle problematiche le vivono ogni giorno sulla propria pelle? Se non nell’assise eletta democraticamente dalla città, in quali luoghi dovrebbe avvenire un siffatto dibattito? Un consiglio comunale straordinario e aperto al contributo dei cittadini che, dopo la replica del Sindaco e qualche sparuto intervento a seguire, viene abbandonato dai consiglieri di centrodestra per far mancare il numero legale – senza votare né sull’ordine del giorno presentato né su altro – rappresenta uno spettacolo indecoroso. Oltretutto, i consigli comunali sciolti per mancanza del numero legale per l’uscita dall’aula dei consiglieri di centrodestra non è affatto un inedito, se si pensa che da quando il Sindaco si è insediato sullo scranno più alto dell’assise civica – correva l’anno 2017 – si contano a piene mani le sedute interrotte prematuramente. Che, è bene ricordare, le cittadine e i cittadini pagano profumatamente, tanto se durano sei ore quanto se si protraggono per una manciata di minuti.

E’ proprio questo il punto. Un tale atteggiamento reiterato tradisce, evidentemente, l’idea della rappresentanza che questa Destra coltiva ad ogni livello. Così, se Giorgia Meloni sembra puntare dritta su una riforma costituzionale che introduca in Italia il premierato o il presidenzialismo, a livello locale gli esponenti del suo partito ne danno una dimostrazione in scala ridotta, con decisioni assunte in modo autarchico, e per le quali se qualcuno prova a sollevare un’obiezione viene prima rampognato e poi liquidato. In un contesto elettorale, giova ricordarlo, nel quale meno della metà dei cittadini aventi diritto partecipa alle consultazioni: è sempre più strutturale l’assioma di minoranze che eleggono maggioranze. Davvero, con queste premesse, l’obiettivo di conferire maggiore efficacia alla propria azione deve tradursi nel dare più potere a chi governa?

I governi passano, passeranno anche questi, a Roma come a L’Aquila. Attenzione, però: la direzione intrapresa rischia di rivelarsi estremamente pericolosa, se è vero che mira a strutturare maggiori poteri per gli esecutivi rispetto a quelli in dote alle assemblee elettive, considerate sempre più fastidiosi fardelli, se non addirittura inutili esercizi di retorica.

 

 

 

 

 


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