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Non sono solo cacicchi nostri. Una riflessione su cacicchi e populismo

di Paolo Tella

I modi per acquisire voti in una campagna elettorale sono:

  • Parenti amici e conoscenti
  • Fedeli al partito
  • Relazioni istituzionali
  • Pubblicità

Ogni partito ha percentuali diverse di elettori distinte tra le quattro categorie, a seconda del loro modi di instaurare i propri rapporti con i propri elettori.

Quando sono nati i primi populisti nella storia si è sperimentato e messo in atto un meccanismo, basato soprattutto sull’efficacia del messaggio pubblicitario che deve essere sintetico ed affascinante, comprensibile, rappresentante per una vasta classe di elettori non desiderosi di approfondire temi e predisposti a fidarsi di promesse; i populisti più efficaci nella storia recente sono stati Mussolini, poi Berlusconi, poi Renzi Grillo Salvini ed oggi Conte e Meloni.

I populisti hanno vinto con campagne pubblicitarie, che una volta venivano gestite dagli uffici “stampa e propaganda” oggi evoluti in strutture che gestiscono la comunicazione coordinando la parte pubblicitaria, gli eventi, i social, le campagne con manifesti cartelloni depliant spot e con attività di ufficio stampa; le attività di relazioni istituzionali tendono ad influenzare la stampa sia cartacea che web e la TV, oltre che alcuni opinion leaders ed opinion makers da coinvolgere in manifestazioni, convegni ed interviste da rilanciare con i media oppure che intervengono in trasmissioni televisive.

L’antitesi di populismo è democrazia.

Per la democrazia cito per sintesi il solo nome di Prodi, che ha vinto ed ha governato in antitesi a Berlusconi, con metodo studiato ed applicato basato proprio sulla democrazia delle forze che componevano l’ULIVO e contro il populismo. Mentre gli “ulivisti” erano presenti nelle piazze e Prodi si muoveva in treno percorrendo tutta l’Italia, i berlusconiani diffondevano nei comizi, in tutte le piazze, videocassette con lo stesso comizio registrato e lo mandavano in onda.

Quindi “amici parenti e conoscenti”, così come i fedeli al partito, sono componenti di discussione democratica e specifica per ogni territorio da contrapporre in antitesi al populismo le cui promesse sono diffuse da media e sono uguali per tutti.

Ora Conte dice a Schlein che deve eliminare i cacicchi, ma anche Elly Schlein ha dichiarato il 12 marzo 2023, davanti all’assemblea del Partito democratico, subito dopo essere stata proclamata segretaria del partito: «Anche dentro di noi abbiamo dei mali da estirpare, anche dentro di noi non vogliamo più vedere stranezze o cose irregolari sui tesseramenti. Non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari».

In realtà cacicco è parola che ha una buona tradizione all’interno del Partito democratico; Francesco Boccia il 23 novembre 2021, dice: «non abbiamo ricostruito il centrosinistra largo per lasciare spazio a cacicchi e ad accordicchi di basso livello» e pochi giorni prima delle primarie, il 16 febbraio 2023, riprende il concetto: «non sono tollerabili comportamenti da piccoli sultani o cacicchi che si sentono i padroni di alcuni territori». Il 28 febbraio 2023, all’indomani delle primarie, il giornalista (ma anche politico di sinistra) Claudio Fava, intervistato da «Repubblica», aveva osservato che con la vittoria di Elly Schlein «può cambiare molto nel Paese: far sentire la politica di nuovo come risorsa praticabile e non come elemosina ricevuta dai cacicchi dei gruppi dirigenti».

Ed ancora prima, il giornalista Domenico Cacopardo, che scrive su «Italia oggi» del 14 maggio 2015, in un articolo intitolato I cacicchi all’assalto del Pd: «tutto è cambiato: il Pd, da coalizione di partitini diversi, è diventato un partito di suo, un partito di cacicchi e di potentati locali»; Michele Emiliano, allora sindaco di Bari e segretario pugliese del Pd, che il 18 gennaio 2009 risponde «non sono un cacicco» a chi chiedeva che nello statuto del partito fosse inserita una norma sull’incompatibilità tra cariche politiche e istituzionali; Mauro Marino, definito leader dei prodiani in Piemonte, che il 23 agosto 2007 fa questa dichiarazione a «Repubblica»: «Si nega insomma quel meticciato che dovrebbe essere al base del Pd e invece del confronto politico aperto abbiamo una conta per stabilire chi saranno i nuovi cacicchi locali»; Massimo Cacciari, che in prima pagina di «Repubblica» del 25 aprile 2000, ricorda che c’era stato «chi concepiva ancora il “locale” come periferico e basta, fastidioso rivendicazionismo, corporativismo da cacicchi». E il riferimento storico è probabilmente a Massimo D’Alema che, come ha ricordato su «Domani», sembra essere il politico che ha inserito la parola nel lessico politico italiano, già nel dicembre del 1997: di ritorno dal Messico, ha definito il partito dei sindaci, di cui si parlava in quei giorni, un «accampamento di cacicchi» o, come riferisce più dettagliatamente il «Corriere della sera» del 14 dicembre 1997, ha dichiarato: «la nuova anomalia del nostro Paese potrebbe essere rappresentata dal fatto che invece di avere uno dei partiti socialisti, riformatori, noi abbiamo due accampamenti ed uno è quello che nella tradizione messicana si chiamerebbero cacique».

La ricostruzione fatta fin qui ci porterebbe a dire che Elly Schlein ha recuperato una parola usata ripetutamente all’interno del suo partito in particolare da un suo sostenitore nelle primarie (Francesco Boccia), a partire da un riferimento fatto da Massimo D’Alema appena tornato dal Messico.

Ma non è proprio così, perché la parola era stata già usata in precedenza, sia in riferimento alla Francia, sia in editoriali e commenti, come l’articolo sulla riforma del sistema costituzionale dello storico comunista Salvatore Sechi, apparso nel «Corriere della sera» del 23 ottobre 1979: «Si tratta di ridurre il potere dei cacicchi delle correnti e degli apparati dei partiti».

Ma in nessuno degli esempi citati si affiancano cacicchi e capibastone che era stata già usata solo il 20 maggio 2005 da un politico che poi partecipò alla fondazione del PD ma che in quel momento era segretario dell’UDC, Marco Follini che disse: «abbiamo bisogno di dirigenti militanti e non di cacicchi e capibastone».

Quindi oggi e da tempo  tutti contro i cacicchi.

Ma io mi chiedo, e vi chiedo: se non usassimo il termine dispregiativo “cacicchi” e li chiamassimo REFERENTI DEL TERRITORIO ?

In realtà anche gli altri partiti, sia Forza Italia che Fratelli d’Italia, vincono facendo riferimento ad ex assessori ed assessori in carica, a politici che sono stati e sono sindaci, onorevoli, senatori ed a persone che da anni diffondono le tesi dei propri partiti e raccolgono tessere, aggregano elettori con le associazioni culturali che poi vengono finanziate con soldi pubblici.

Il PD non può rispondere che i cacicchi li hanno tutti?

Perché il PD deve subire la denigrazione di Conte che tutto ha (forse) tranne il radicamento sui territori?

Oggi il PD può restare una forza democratica con le sue sezioni, i suoi circoli diffusi e presenti che fanno politica ogni giorno, avere e stimolare un dibattito interno che è l’essenza della democrazia, oppure fare bei manifesti con bei messaggi colorati e diventare populista.

Il tema del nome di Elly Schlein nel simbolo del partito è questo, imitando un’usanza della destra con Forza Italia che ancora usa Berlusconi e ripresa anche da Giorgia Meloni, tema su cui Schlein ha messo in atto una retromarcia a tutti gli effetti, vista la sollevazione di tutte le correnti che l’hanno appoggiata al congresso dello scorso anno: da Dario Franceschini alla sinistra di Andrea Orlando e Giuseppe Provenzano fino a Nicola Zingaretti e Michele Emiliano, uno dei “cacicchi” a cui la segretaria venuta dai movimenti e fino al momento delle primarie non iscritta al Pd aveva giurato guerra durante la campagna congressuale.

Però Schlein si è esposta non solo alle critiche del fondatore dell’Ulivo di Romano Prodi («così si chiede agli elettori di dare il voto a una persona che di sicuro non ci va a Bruxelles se vince: queste sono ferite alla democrazia che scavano un fosso»), ma – paradossalmente – anche al ribaltamento delle sue stesse critiche contro l’eccessiva personalizzazione della politica. Schlein ha sempre contrapposto il Pd come “comunità” ai partiti personali della destra ed ha sempre usato il “noi” al posto dell’”io”.

C’è stato anche l’avvertimento di Lucia Annunziata: «Il nome nel simbolo è la trasformazione del Pd in un partito personale proprio nel momento in cui la destra ha presentato una riforma, il premierato, che distrugge l’attuale assetto costituzionale. La scelta del nome nel simbolo mette il Pd sulla strada dell’accettazione dello stesso modello».

E la risposta di Schlein è stata la decisione di stampare sulle tessere del Pd gli occhi dello storico leader del PCI Enrico Berlinguer, inventore e il paladino della “questione morale”.

Il vero problema del PD è la comunicazione che oscilla tra il dire ed il fare, tra l’essere e l’apparire, tra l’avere un’identità chiara e riconoscibile e non riuscire a farla percepire. Il problema è il vissuto della democrazia interna, sotto gli occhi di tutti come è giusto che sia in un sistema aperto; ma gli italiani non sono abituati alla complessità e percepiscono tutto fumoso nel PD, mentre giudicano fattiva ogni decisione imposta senza dibattito da un capo, anche se è senza partito.

Il vero problema del PD è la comunicazione che lascia liberi tutti quelli della segreteria nazionale che, per interessi diretti e personali, preferiscono esprimere le proprie considerazioni personali anche in contrapposizione da quelle concordate in maggioranza, o all’unanimità dai voti della stessa segreteria.

Abbiamo ami saputo cosa succede nella segreteria nazionale di Fratelli d’Italia o di Forza Italia? NO

Il centralismo democratico non si usa più in virtù di democrazia, apertura e rinnovamento, ma la comunicazione serve a far percepire agli elettori un’identità chiara e definita, non a creare confusione sminuendo le posizioni della segretaria; se Schlein non riuscirà ad imporre la sua linea identitaria chiara (condivisa dalla segreteria nazionale, così come nel locale) il PD avrà vita breve.

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