Mafia dei pascoli, l’autrice della ricerca rivelatrice Lina Calandra: l’inchiesta segnale importante

Mafia dei pascoli, l’autrice della ricerca rivelatrice Lina Calandra: l’inchiesta segnale importante

di Fabio Pelini

Con un lavoro attento e scrupoloso ha contribuito in maniera determinante a fare luce su una questione che si è insinuata da anni sul nostro territorio. Stiamo parlando di Lina Calandra, docente di Geografia dell’Università dell’Aquila, tra i primi a scandagliare – grazie al tenace lavoro del suo Laboratorio di Cartografia – le zone grigie legate ai finanziamenti europei per l’agricoltura e l’allevamento. Una ricerca importante, di quelle che lasciano il segno, in grado di arrivare a delle risultanze da far tremare le vene ai polsi.

Il meccanismo con cui l’Unione Europea rilascia i contributi per sostenere il comparto agropastorale in Abruzzo (e in Italia) è viziato da pratiche illecite e da comportamenti intimidatori, tali da configurare un vero e proprio sistema criminale. Ribattezzato, non a caso, mafia dei pascoli. Per approfondire questo scenario a dir poco inquietante, la Calandra è stata anche ascoltata, poco meno di un anno fa, dalla Commissione parlamentare antimafia, alla quale ha illustrato i risultati della sua ricerca e cioè di come aziende di grandi dimensioni provenienti da fuori regione vengano tra le montagne abruzzesi ad accaparrarsi vaste aree di terreni, facendo figurare un’attività agropastorale che poi non svolgono, con l’unico obiettivo di accedere ai cospicui fondi europei disponibili.

Fondi che da tempo hanno attirato l’attenzione di soggetti provenienti in prevalenza dal Mezzogiorno d’Italia, legati in qualche caso a contesti e personaggi quantomeno discutibili. L’Unione Europea stanzia annualmente circa 150 milioni di euro per sostenere l’agricoltura e i pascoli del territorio, non proprio bruscolini. Ma quei finanziamenti se li aggiudicano in larga parte grandi cooperative del sud, che poi spostano altrove i capitali accumulati, lasciando sulle montagne abruzzesi finte aziende agricole in luogo di chi quelle attività le pratica da generazioni. Insomma, in questo caso “Prendi i soldi e scappa”, non è il remake del celebre film di Woody Allen, e da ridere c’è ben poco. Se è vero che ogni rete ha la sua smagliatura, anche in questo caso c’è chi ha studiato attentamente il meccanismo di finanziamento e messo in campo una strategia ben definita e redditizia.

Facciamo il punto. L’Unione Europea ripartisce i contributi basandosi sulla Pac (acronimo che sta per Politica Agricola Comune), che prevede l’assegnazione di titoli in base alla superficie di terra utilizzata per il pascolo degli animali e per le diverse colture agricole. Titoli, che a seconda del tipo di coltivazione e della ampiezza dei pascoli, generano un valore in denaro che costituisce il portafoglio di ogni azienda. Più titoli si hanno a disposizione, maggiori sono gli aiuti comunitari previsti dalla Pac. E’ da queste premesse che si è sviluppata una capillare azione di infiltrazione sul territorio da parte di gruppi pugliesi, campani e di altre zone del meridione, che hanno fatto man bassa di terreni agricoli abbandonati, sottratti a piccoli allevatori o acquisiti dal demanio di uso civico, con il solo scopo di attrarre i soldi provenienti dall’Europa, da reinvestire poi altrove. Depauperando irrimediabilmente il territorio e condannando all’oblio la vocazione pluridecennale delle nostre aree montane.

Qualche giorno fa c’è stata però la svolta: la Guardia di Finanza della Compagnia di Pescara, dopo una lunga attività di indagine sulle truffe ai danni della Comunità Europea, ha reso nota l’operazione Transumanza, ponendo la lente di ingrandimento sull’erogazione di contributi per quei fondi falsamente adibiti a pascolo. Indagine che ha portato all’applicazione di venticinque misure cautelari, con il coinvolgimento di 75 persone e ai sequestri preventivi in tutta Italia tra Abruzzo, Puglia, Trentino Alto Adige, Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Lazio e Campania.

“Ho appreso la notizia da amici che di prima mattina mi hanno inondato di messaggi per informarmi dell’inchiesta” ha commentato Lina Calandra. “La prima reazione è stata di incredulità e diffidenza: faticavo a credere che qualcosa si stesse realmente muovendo. Dal 2018 non ci siamo mai fermati nell’impegno di diffondere e rendere pubblico ovunque ciò che avviene sul nostro territorio, affrontando anche situazioni spiacevoli e tentativi di delegittimazione della ricerca” ha aggiunto la docente universitaria, con un misto di orgoglio e amarezza ravvisabili nelle sue parole, a testimonianza di un lavoro totalizzante, che ha incontrato resistenze rilevanti e generando un’altalenante condizione di sentimenti contrastanti. “In questi anni ho perso un po’ la serenità e la fiducia nel lavoro accademico e tanti dubbi mi hanno tenuta sveglia numerose notti. Per questo ho letto più volte la notizia: faticavo a credere che il lavoro sfiancante mio e dei miei collaboratori –  che ci hanno messo testa e cuore – potesse portare a un qualche risultato”.

Alla domanda su quale sensazione provi in questo momento in cui sembra assumere un rinnovato significato la ricerca faticosamente svolta, la Calandra sembra voler misurare le parole. “Non posso dire di essere contenta, ma certo l’inchiesta rappresenta un segnale importante, soprattutto per tutte le aziende e i professionisti onesti. È la prima indagine significativa che si concentra sulla vicenda dei pascoli e dei fondi europei che coinvolge l’Abruzzo, ma soprattutto è la prima volta – a parte l’inchiesta simile sulle infiltrazioni mafiose sui monti Nebrodi – che pone la questione in termini di sistema organizzato di stampo mafioso”. E sugli sviluppi futuri di un’inchiesta che sta facendo molto rumore, la docente aquilana si mantiene cauta. “Non so cosa aspettarmi. Spero si vada avanti e che l’attenzione salga di livello. Quando si ha a che fare con questioni di mafia, si entra in un’altra dimensione, un mondo parallelo edificato sul gioco degli specchi. Nessuno, credo, è così incauto da pensare che la questione sia risolta e che ora tutto tornerà a posto sul territorio. Ci vorrà del tempo e bisognerà comunque attendere gli sviluppi dell’inchiesta”.


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  • Pier Giorgio ha detto:

    In merito all’argomento, da Comandante di Stazione dei Carabinieri Forestale ho mandato alla Magistratura di AQ diverse notizie di reato. Ben circostanziate chiedendo l’intervento di strutture investigative speciali per diversi motivi. Ho avuto anche minacce e mi hanno trasferito per incompatibilità su denuncia di un Allevatori di Ofena, quello che assieme all’agricoltore della Valle Subequana appaiono sui media per denunciare l’invasione della Mafia esterna. Però non dicono che anche loro sono stati denunciati perché frodavano allo stesso modo. Ora sono da poco in pensione e preferisco stare fuori dalla faccenda anche se mi viene da sorridere pensando che forse il mio modesto ma sconosciuto lavoro possa aver dato un minimo contributo all’indagine.