Oggi, domenica 20 aprile, è la domenica di Pasqua.
Cristo è risorto ma quanto spesso l’umanità continua a crocifiggere la pace, a chiudere le tombe dell’indifferenza, a ignorare l’amore.
Parlare di Pasqua mentre nel mondo divampano focolai di guerra è profondamente toccante. La festa che celebra la Vita che vince la morte, la luce che squarcia il buio, diventa allora una sfida, quasi un paradosso.
Come possiamo cantare “Alleluia” quando, in tante parti del mondo, si sentono solo le sirene, i pianti, i boati delle bombe?
Eppure è proprio in mezzo al dolore che la Pasqua ha senso. Non come evasione, ma come profezia.
La poetessa marsicana Roberta Placida ha composto un inno che è insieme esultanza e supplica, luce e grido. Questa poesia coglie in pieno il cuore della Pasqua: la vittoria della Vita, ma anche la responsabilità che ne deriva. Le ultime due strofe sono un interrogativo che porta a un esame di coscienza, un invito a rendere Pasqua non solo una celebrazione, ma una trasformazione quotidiana.
È Pasqua!
È Risorto!
Alleluia!
Dal sepolcro giunge la voce
“È vivo, è tra noi
chi morì tra le braccia d’una croce.
Il Calvario non fa più paura:
risorgerà in Cristo Signore
colui che avrà la coscienza pura”
E man mano che passan le ore
l’annuncio diventa Vangelo:
sulla morte vince l’amore!
Ma un grido si leva dal luogo
che al Re diede il Natale:
“Non scendere agli Inferi,
Cristo trionfante.
Volgi qui in terra
il tuo sguardo potente
e se davvero sei
degli uomini amante
ordina all’uomo
di spegnere l’odio
o il Calvario sarà
solo un simbolo vuoto
e il sepolcro glorioso
sarà chiuso per sempre.
A che è valso morire
soffrire e risorgere
se ancora è buio
su tutta la terra?
A che è valso morire
soffrire e risorgere
se ancora la croce
violenta la pace
se ancora l’uomo
non impara l’amore?
Che sia una Pasqua di resurrezione per tutti gli angoli del globo e per tutta l’umanità.
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