Comunicato stampa di CaseMatte L’Aquila
Un’assemblea partecipata e sentita si è svolta domenica a Casematte, dove oltre cento persone hanno discusso collettivamente del futuro dell’area del Parco della Luna nell’ex op di Collemaggio. Un momento di confronto che ha visto la presenza di singole cittadine e cittadini, associazioni e rappresentanti istituzionali, a conferma di come quell’area sia riconosciuta da tutta la comunità come un bene comune, sul quale chi lo vive e attraversa quotidianamente, come noi, ma non solo, rivendica il diritto di avere voce.
Il Parco della Luna racconta la storia delle lotte del post-sisma, la necessità di uno spazio di aggregazione e cultura libero dalle logiche del consumo e lontano da qualsiasi tentativo di privatizzazione. È un progetto nato proprio grazie al lavoro delle realtà che oggi l’amministrazione tenta di estromettere, mentre utilizza quegli stessi finanziamenti come strumento di propaganda. Un progetto che, peraltro, è stato svuotato del suo significato politico e sociale, contrariamente a quanto dichiarato nei comunicati, poiché a oggi non esiste alcuna garanzia sulla concreta attuazione delle attività previste dopo la ristrutturazione degli edifici.
Biondi e i suoi collaboratori parlano di “polo culturale, sociale e turistico”, che poi è semplicemente la definizione che giustifica il trattenimento dei fondi trovati oltre 10 anni fa. Ma al di là delle definizioni vaghe, cosa vuole fare l’amministrazione della porzione di Collemaggio all’interno della quale si trova oggi CaseMatte? Oltre all’albergo “in via dei matti” – un progetto che risale addirittura al pre-terremoto 2009 e che oggi secondo la giunta risponderebbe alle esigenze di un fantomatico “turismo religioso” – si vorrebbe sostituire CaseMatte con un “caffè letterario”.
Non basta la parola “letterario” per aggiungere una funzione sociale a quello che con tutta probabilità, nella visione dell’amministrazione dimostrata con i fatti negli anni, sarebbe l’ennesimo bar. E chi gestirà un bar in mezzo a un parco che, lo ricordiamo, è e rimarrà comunque per gran parte abbandonato? È una domanda lecita, considerando la non-gestione e l’abbandono di tanti spazi pubblici a cui, per menefreghismo istituzionale o cialtroneria politica, non si riesce a trovare gestione.
Basti pensare all’ex asilo occupato: negli ultimi 16 anni è rimasto aperto alla città solo nei 6 anni in cui è stato vissuto da collettivi e associazioni che lo animavano. Di fatto è inutilizzato (prima abbandonato e ora ricostruito ma a oggi vuoto) da quando è terminata quella esperienza, all’inizio del 2017 (otto anni fa). Temiamo che lo stesso possa accadere per la zona di Collemaggio. Temiamo che dietro le definizioni sciacallate dall’idea originaria del Parco della Luna ci sia la volontà di turistificare e gentrificare per poi far tornare tutto all’abbandono. D’altro canto l’abbiamo visto più volte negli anni a L’Aquila: il centro storico è emblema di questa visione obsoleta, classista e autolesionista per la comunità. Purtroppo questa è una prospettiva realistica.
In quella zona di Collemaggio c’è un luogo che da 16 anni già produce inclusione, arte, cultura; uno spazio vivo, riconosciuto e indispensabile per la città. È da questa realtà, da ciò che esiste e funziona, che ribadiamo la necessità di un confronto vero e trasparente tra l’amministrazione, le associazioni che abitano l’area e tutte le persone che da anni la attraversano e la fanno vivere. E a chi definisce noi e chi anima il parco “presenze irregolari” associate a “situazioni di degrado”, ricordiamo che gli interventi realmente efficaci contro il cosiddetto degrado sono proprio la presenza, la partecipazione, le attività educative e collettive menzionate sopra di cui, qui, Casematte è garante; non il controllo, le telecamere, le forze dell’ordine, l’asetticità degli spazi sempre meno accessibili, le operazioni di facciata prima avviate e poi, temiamo, abbandonate.
Il degrado è quello della destra comunale e regionale che ha abbandonato in questi anni l’area, così come era stato fatto da chi la precedeva. Nella pochezza culturale delle logiche della destra, la concezione di progresso è annientare, cercando di uscirne puliti, un tessuto sociale costituitosi in 16 anni attorno ad un luogo che fu significativo e indispensabile per la comunità nel post sisma, e che continua ad esserlo nel presente, per poi sostituirlo con immobili che, è probabile, rimarranno vuoti: fanno un deserto e lo chiamano ordine.
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