L’Aquila “all’assacresa”, cronistoria recente di una città senza strategia

L’Aquila “all’assacresa”, cronistoria recente di una città senza strategia
22 Ago 2025

di Marianna Gianforte

CARTOLINA DAL PASSATO

L’Aquila è sempre stata una città di militari. Giovani che arrivavano da ogni parte d’Italia per portare a termine il “fermo leva”.

Anni Sessanta-Settanta. Le due caserme aquilane, la “Pasquali” all’ingresso della città, e la “Rossi”, in località Torrione, erano un continuo brulicare di giovani. Mille dialetti e inflessioni vocali si mescolavano tra loro in un ininterrotto scambio culturale e di amicizie. Nella Pasquali era di stanza la fanteria, con la vicina piazza d’Armi – dove è stato ricollocato il mercato ambulante dopo il terremoto – che fungeva da area di addestramento per i carristi. Nella Rossi, invece, erano di stanza gli Alpini, che L’Aquila, essendo una città di montagna, sentiva particolarmente vicini e affini a sé. Non a caso, quelle che probabilmente sono state le prime pizzerie aquilane, la “Vesuvio”, fino al terremoto in via Bafile, poi trasferitasi a Pettino, e “I due mari”, lungo corso Umberto, erano sempre affollate di ragazzi in divisa verde-cachi: all’epoca la libera uscita era, per l’appunto, in divisa. Prima di cena decine di giovani militari riempivano il centro storico con il loro passeggio, mescolandosi agli aquilani e alle aquilane nel quotidiano “struscio”. La “Casa dell’alpino”, negozietto ricco di oggettistica e di curiosità, esaltava la devozione alle penne nere e la vocazione alla montagna. Era anch’esso un altro piccolo tassello dello spaccato economico del centro storico dell’Aquila di allora, in un triangolo commerciale che racchiudeva tutto il senso delle dinamiche sociali cittadine di 40 e 50 anni fa.

La forte presenza militare in città comportò, naturalmente, l’esigenza di fruire di ampie aree militari, e infatti alle caserme e a piazza d’Armi si aggiungeva anche il distretto militare di piazza San Bernardino. Spazi che nel tempo hanno cambiato i loro ruoli e le destinazioni, andando di pari passo con il cambiamento sociale che viveva la città e avviato già con la fine della leva obbligatoria. Cambiamento poi accelerato dal grande shock causato dal sisma del 2009. In quel periodo la necessità che le aree militari tornassero nella disponibilità cittadina si fece concreta, ma dopo quasi 20 anni il loro nuovo destino urbanistico non è ancora del tutto definito. Le nuove destinazioni che le amministrazioni decideranno di adottare per le aree militari dismesse segneranno in qualche modo anche l’evoluzione futura della città.

LE DECISIONI POST-SISMA

L’articolo 4 del decreto legge 39/2009, convertito nella legge 27/2009, ha stabilito che gli immobili non più in uso da parte del ministero della Difesa venissero trasferiti al Comune, fattispecie in cui rientrava anche il distretto militare di via San Bernardino, già chiuso prima del terremoto. Proprio in risposta alla nuova disposizione, l’amministrazione comunale di allora cercò di entrate in possesso dell’immobile, con l’intento poi di destinarlo ad alcune funzioni culturali proprie o di altri enti. La caserma Rossi, attiva sino a pochi anni fa e attualmente chiusa e svuotata dei suoi beni, trasferiti all’interno della caserma Pasquali-Campomizzi, è al centro della cronaca di questi giorni per l’abbattimento di alcune decine di alberi che costituivano il piccolo parco Polsinelli, un’oasi di verde che sorgeva, sino a una ventina di giorni fa, in un pezzo di città immersa nel traffico.

Il parco era dedicato al maresciallo capo Luca Polsinelli, giovane alpino di Sora vittima dell’attentano terroristico avvenuto in Afghanistan nel 2006, che il presidente Ciampi insignì della croce d’onore alle vittime di atti di terrorismo impegnate in operazioni militari e civili all’estero. Quella piccola oasi verde ora non c’è più, gli alberi abbattuti in seguito a una disposizione dirigenziale nottetempo, evitando, così, le proteste delle opposizioni e degli attivisti del coordinamento nazionale alberi e paesaggio (Conalpa) che già da settimane lanciavano l’allarme sull’imminente fine del parco. Lo spazio lasciato vuoto dai 30 alberi servirà, secondo il progetto del Comune dell’Aquila per realizzare l’accesso al parcheggio da circa 360 posti all’interno della spianata dell’ex Rossi, laddove un tempo si tenevano le adunate militari mattutine con l’alzabandiera. Ma la questione del parcheggio all’interno dell’ex Rossi è un argomento che sarà trattato in modo appropriato successivamente.

OLTRE IL PARCHEGGIO?

È invece sull’area dell’ex caserma Rossi che c’è da porsi dei quesiti: al di là della realizzazione dei posteggi per auto, che riguarderà una parte del piazzale, e che in astratto potrà dare respiro all’atavica mancanza di posteggi per auto in centro storico, e al di là dei modi – ci permettiamo – un po’ improvvisati di eliminare un parco senza indagare altre soluzioni di accesso, ancora non è dato sapere, ad esempio, a quale scopo e a quale effettivo utilizzo sarà destinato quell’immenso spazio, costituito da diverse aree ed edifici. La caserma si trova in una zona cruciale della città, perché è a ridosso della questura e della caserma dei vigili del fuoco dell’Aquila, crocevia di passaggio tra il centro cittadino e il territorio a Est (A24 e superstrada verso Tempera, Paganica, Bazzano e la via di collegamento per Pescara), nonché con l’area scolastica, commerciale e residenziale ricompresa tra Colle Sapone e Acquasanta-San Giacomo. Lì, di fronte alla questura e a pochi metri dalla rotonda che distribuisce il traffico fra Torrione, via della Croce Rossa, Viale Gran Sasso, viale Tagliacozzo, via Strinella e via Panella, fermano i bus di linea, talvolta anche i tassisti. Un crocicchio, insomma, caotico anche per la presenza del cimitero cittadino e dello stadio Gran Sasso d’Italia Italo Acconcia.

Su un’area tanto delicata e congestionata pesa il dovere di una progettazione urbanistica globale, strutturale, studiata con tecnici e urbanisti, ragionata sulle esigenze della città di oggi, certamente, ma soprattutto della città di domani; e decisamente non la si può ridurre a soluzioni estemporanee, rispondenti a frettolose esigenze del momento, destinate a essere superate alla prossima impellenza: oggi è l’imminente avvio della manifestazione “L’Aquila capitale italiana della cultura 2026” – con l’ansia da risultato che ne consegue –, in futuro potrebbe essere qualsiasi altra urgenza. Il rischio concreto è cadere in un inutile o esagerato impegno di risorse economiche e spreco di tempo per realizzare un’opera che in fin dei conti non riqualifica la zona e non ne migliora la viabilità, mentre i suoi effetti potrebbero essere irreversibili sugli assetti urbanistici. L’impressione è che si stia perdendo un’occasione per lavorare a un progetto d’insieme, da condividere con una moltitudine di associazioni, organizzazioni, esperti e con la cittadinanza aquilana. Davvero si crede che lo sviluppo urbano di una città possa essere valutato soltanto nelle riflessioni fatte al chiuso delle mura di un assessorato? Un lavoro, insomma, scrupoloso e competente, proiettato al futuro, che ponga anche finalmente attenzione alla via d’accesso a Est della città, guazzabuglio di traffico e territorio privo di infrastrutture viarie adatte a reggere il peso di un inurbamento che si è andato amplificando dopo il sisma. Tema, quest’ultimo, su cui tra l’altro, non si sente volare una mosca, lasciando la città a Est in balìa di se stessa, con i problemi irrisolti di quel pezzo di Abruzzo che si sviluppa sulla direttrice per Pescara.

Non molto lontano dall’ex caserma Rossi, su via Panella, si trova il villaggio dei vigili del fuoco, dove il comando dell’Aquila è stato ricollocato sin dall’immediato post-sisma in attesa che venga ricostruita la “vecchia” sede danneggiata, e ancora oggi cantiere, tra via Panella e via Pescara. Ad aumentare la confusione sulla destinazione dell’area dell’ex caserma c’è la promessa, più volte espressa dall’amministrazione comunale, di realizzare al suo interno anche il nuovo comando dei vigili del fuoco dell’Aquila; e infatti il sindacato aquilano del corpo, il Conapo, da anni esprime la volontà di poter avere quello spazio a disposizione e più volte il sindaco Pierluigi Biondi lo ha annunciato e promesso. Nel febbraio 2019 il Conapo informò che, nel corso di un incontro tra l’allora ministro dell’Interno e vice premier Matteo Salvini, il sottosegretario del dicastero Stefano Candiani, i Vigili del Fuoco dell’Aquila, i loro vertici ed esponenti del Comune dell’Aquila, era stato raggiunto un accordo nel quale si stabiliva che il comando provinciale dei vigili del fuoco sarebbe stato realizzato all’interno dell’ex caserma Rossi. Ma dopo mesi di dibattito, nell’imminenza di “L’Aquila città della cultura”, tale questione è sparita dai radar. Resta, intanto, nel va e vieni dei comunicati stampa, l’idea che l’area militare dovrà accogliere molteplici destinazioni (in un recente passato il Comune ipotizzò di collocare al suo interno anche la scuola media Carducci, sfrattata da viale Duca degli Abruzzi), sul come ciò avverrà e secondo quale progetti, però, sinora vige la libera interpretazione.

Una volta terminati i lavori, dicevamo, la questura si troverà stretta fra due grandi rotatorie, quella esistente e quella che nascerà per permettere l’ingresso nel neo parcheggio, secondo quanto previsto nel progetto del Comune, quasi a ridosso delle uscite delle volanti: un luogo sensibile per la sua natura e per la sua funzione, e che andrebbe tenuto libero da ingorghi e potenziali ostacoli. Prima di approdare alla scelta della nuova viabilità, il Comune ha avviato un confronto con la questura?

Ma anche su altri aspetti l’attenzione degli amministratori e della comunità competente (tecnici, ingegneri, architetti, urbanisti, settori dell’università) dovrebbe porsi, sempre nell’ottica di preoccuparsi concretamente e intelligentemente del futuro sviluppo dell’Aquila, resistendo alla tentazione di tappare i buchi come si fa con l’asfalto usurato. C’è un altro fatto avvenuto e dibattuto nei giorni scorsi: la riapertura, lunedì 4 agosto, a Colle Sapone, esattamente dov’era prima della sua dismissione, dell’istituto per i minori dell’Aquila, avvenuta con grande risonanza di comunicati istituzionali di Comune, ministeri e parlamentari. L’Ipm era stato chiuso nell’aprile del 2016 con un provvedimento dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, in quanto non più attivo dal 2009 per effetto, da un lato, degli eventi sismici, dall’altro dell’esigenza del “dipartimento della Giustizia minorile e di comunità” di razionalizzare le risorse umane, i finanziamenti e le strutture. Un ritorno presentato come innovativo ma che, a conti fatti, ripropone un tal quale con la storia passata, anzi, con il debito – ci ripermettiamo – di non aver fatto i conti con la città nuova via via radicata e consolidata. Il triangolo in cui sorgono l’Ipm, l’ex caserma Rossi e il comando provinciale dei vigili del fuoco, a onor di cronaca, erano oggetto di una proposta dell’ex amministrazione comunale che puntava a riorganizzare l’area secondo una prospettiva: creare in quella porzione di città un polo scolastico-culturale e sportivo che consentisse alle persone di fruire degli spazi e dei servizi pubblici essenziali per la comunità, localizzando lì le scuole e i servizi annessi. Un segno chiaro che la città volesse rialzarsi con le proprie forze dopo lo sconquasso del terremoto, una comunità in trasformazione che scommetteva senza reticenze sul proprio futuro.

CHE ANIMA VUOLE DARSI L’AQUILA?

La riqualificazione urbanistica comprendeva edifici e aree appartenenti alle amministrazioni territoriali del ministero dell’Interno e della Giustizia e Difesa. Un progetto che – nelle intenzioni dei proponenti – era rivolto soprattutto alle generazioni future, alla loro crescita, che offrisse strutture e servizi adeguati al radicamento in città. Da qui scaturì un documento d’intesa firmato il 18 aprile 2013 tra il Comune dell’Aquila i ministeri dell’Interno, della Giustizia e della Difesa, dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per i Beni e le attività culturali e per la Coesione sociale, la Regione Abruzzo, la Provincia dell’Aquila e il Coni. L’obiettivo della convenzione era “consentire di tradurre in azioni concrete le esigenze di rilancio del territorio colpito dal sisma”. A tale scopo venne anche istituito un comitato attuativo paritetico e l’accordo venne firmato dai ministri e dai referenti di tutte le parti in questione.

Seguirono incontri, sopralluoghi, tavoli tecnici finalizzati a un approdo concreto. Sono passati dodici anni e nel crocevia tra la questura, l’ex caserma Rossi e via Panella non solo non è stato realizzato alcun polo scolastico, ma oggi, come spiega il comitato aquilano Scuole sicure, a sedici anni dal il terremoto del 2009, “più di 3.500 ragazze e ragazzi stanno ancora frequentando le lezioni in quasi 20 moduli scolastici temporanei – strutture progettate per affrontare l’emergenza, ma ancora utilizzate senza una fine chiara”. Nel frattempo, data la chiusura dell’istituto minorile, l’università chiese e ottenne i locali in cui ospitare la facoltà di Economia, in linea con il progetto del polo scolastico, e anche in risposta al documento dell’Ocse, che vedeva proprio nell’università, nella ricerca scientifica e nella vocazione culturale il rilancio e il futuro dell’Aquila disgregata dal terremoto.

La storia di quest’area è simile a quella di altre parti di città oggetto di interventi strategici, a dire il vero in quei casi addirittura finanziati e pianificati: il parco urbano di piazza d’armi per esempio, completamente stravolto e i fondi dirottati altrove; il parcheggio di viale della Croce Rossa, con annessa riqualificazione della zona al di sotto delle mura urbiche, anche in questo caso risorse stralciate e destinate altrove; oppure, ancora, la sede unica del Comune, prevista nel piano di ricostruzione nell’area del vecchio autoparco comunale (e la messa in sicurezza del fosso di San Giuliano), tra via XXV Aprile e via Rocco Carabba, con riqualificazione anche del piazzale della stazione. Tutti interventi che tredici anni fa rientrarono nell’alveo dei progetti strategici della città, destinati a riqualificare importanti aree del territorio, proponendo nel contempo un cambiamento dei vecchi assetti cittadini a dimostrazione che, nel bene o nel male, condividendo o meno quelle scelte, non sempre la storia amministrativa dell’Aquila è andata avanti “all’assacresa”.

Ora è il momento di tracciare una linea netta per cercare di capire che anima vuole darsi L’Aquila, dove vuole andare, che futuro offrire ai giovani che guardano sempre più altrove fuggendo persino dall’ateneo, che pure tenacemente negli anni post-sisma ha cercato di offrire qualità e prospettive per non veder svuotare i suoi corsi. Domande che ci si deve porre non per partito preso, ma come persone che hanno a cuore il vivere in una città moderna, aperta alle innovazioni tecnologiche, alla cultura a 360 gradi, alle scienze, alla qualità della vita e dell’ambiente.

Dopo il terremoto nacquero decine di associazioni cittadine e culturali, case editrici, comitati che spingevano a fare uscire la città dalla pur orgogliosa testardaggine e depressione economica e sociale che la affliggeva nel pre-sisma e soprattutto, miravano a rimettere insieme i tanti pezzi drammaticamente rotti dal terremoto, sino a metterne in discussione l’essere capoluogo di Regione. Tanto per fare un esempio, il sindaco di allora Massimo Cialente respinse con forza l’ordinanza della presidenza del Consiglio dei ministri che, all’indomani del sisma, stabilva che tutte le sedi degli uffici pubblici potessero essere ricollocati in città e province diverse dall’Aquila. Di fronte alla reazione del primo cittadino e della città nel suo complesso l’Opcm sparì dalla circolazione e dai repertori ufficiali, ma è rimasta indelebile nella memoria degli aquilani come monito. Un puntiglio che oggi servirebbe più che mai. E infatti una delle domande è questa: al di là delle posizioni tra pro e contro, aver accantonato un ragionamento che puntava a riorganizzare la vasta area cittadina tra la questura e l’ex caserma Rossi ha avuto una conclusione positiva o negativa?

Una domanda che dovrebbe esser posta soprattutto a coloro che nel post-sisma, appunto per rispondere a una semplicistica ricerca di consenso, hanno lucrato sul concetto del “dov’era e com’era”, monito brandito dai comitati cittadini – è dovere di cronaca ribadire – contro la dichiarazione dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di ricostruire la città, come nel peggior incubo, in una specie di “L’Aquila 2”, sulla falsa riga della sua “Milano 2”, abbandonando così, come carta usa e getta, la città storica, il suo tesoro culturale e architettonico e sostituirla con una L’Aquila dai grandi palazzi ma senza anima né radici. Non andò così, fortunatamente, proprio perché gli aquilani si ribellarono e difesero con i denti (e con le carriole, e sotto al tendone di piazza Duomo) la propria città e la propria identità. Non per questo, però, esigettero il “com’era dov’era” come mero immobilismo.

E INFATTI NULLA È COME PRIMA DEL 2009

Innanzitutto che cosa non c’è più. Non ci sono più 309 persone, le vittime del terremoto che mai più potranno essere restituite all’abbraccio dei loro cari. Non c’è la spensieratezza e la normalità del pre-sisma, con il centro storico senz’altro pieno di criticità ma vivo, pullulante di persone di tutte le generazioni e provenienti anche dal circondario, ritmato ogni giorno dal mercato ambulante vecchio di 750 anni. Non c’è più l’università a palazzo Rivera, crocevia di giovani che sognavano il proprio futuro.

L’Aquila con coraggio intraprese un nuovo cammino, come certificano le opere realizzate. Soltanto a titolo di esempio: il Maxxi L’Aquila, sede distaccata del museo di arte contemporanea di Roma; la scuola superiore universitaria Gssi; lo smart tunnel, finanziato con 80 milioni di euro (primo stralcio), che ha avuto molteplici visite di ricercatori internazionali, poi incredibilmente lasciato nel dimenticatoio; ci sono vari esempi di nuova viabilità, come via Corrado IV, che proprio nelle ore del terremoto dimostrò la sua assoluta non funzionalità; c’è la piazza dell’Emiciclo che finalmente collega, in un abbraccio virtuale, la sede del Consiglio regionale alla villa comunale. Ci sono gli interventi dei privati, in una sorta di corsa al “bello”: ad esempio il palazzo del benzinaio all’incrocio tra via XX Settembre e corso Federico II, e con esso nacque anche il palazzo dirimpettaio su via Sant’Agostino. E c’è il nuovo complesso di via XX Settembre che un tempo ospitava la sala Bingo, e molti altri ancora; c’è piazzale Paoli, in ricordo delle 309 vittime: il segno di una nuova città. Ma non c’è il monumento al ricordo delle vittime del crollo della casa dello studente, nonostante la vecchia amministrazione avesse stipulato un preciso protocollo con la rettrice Paola Inverardi, che indisse un concorso di idee tra gli studenti dell’ateneo: un’assenza, questa, che pesa sulle coscienze locali e diventa macigno nella notte della ricorrenza del sisma.

APRIAMO GLI OCCHI

Oggi viene da chiedersi come si presenti L’Aquila a un occhio minimamente attento. Un assaggio lo ha già dato l’Economist, il più importante settimanale economico al mondo, che dedica all’Aquila un articolo dal titolo “Why Italy’s next cultural capital looks like a disaster zone”, a dimostrazione che, quando si esce dalla narrazione locale, talvolta eccessivamente edulcorata, emergono punti di vista che riportano alla cruda realtà.

Al di là del cosiddetto “asse centrale”, che fu il fulcro primario della ricostruzione, dei due corsi cittadini e della piazza del Duomo dalla pavimentazione bianca, e al di là delle piazzette e delle vie principali, finalmente pedonalizzate, c’è tutto un coacervo di vie centrali dove si accumulano degrado, sporcizia e talvolta anche spaccio di stupefacenti tra i palazzi ancora da ricostruire. E ci sono, al di là della vetrina centrale, diversi palazzi pubblici ancora puntellati anche se finanziati: palazzo Quinzi, Palazzo Carli, l’ex Ipab a piazza Palazzo, l’ex sede di alcuni corsi della facoltà di Lettere e di Medicina a via Verdi, il teatro comunale, la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati, il cinema Massimo: tutto ancora in alto mare. L’elenco sarebbe ancora lungo e impietoso, ma chiudiamolo con un altro buco nero della famosa “rinascita” della città: la struttura dell’ex ospedale San Salvatore, in zona San Basilio, che sarebbe dovuto diventare un polo universitario propulsivo per il futuro sviluppo della città: i bandi di gara sono stati pubblicati e subito annullati perché “qualcuno” aveva dimenticato di chiedere il trasferimento dei fondi dopo l’approvazione del piano da parte del Cipess con delibera 113 del 2017.

Mancano a mala pena cinque mesi all’avvio di “L’Aquila capitale della cultura 2026”, ma se le premesse sono queste una domanda conclusiva sorge spontanea: il prestigioso titolo strapperà solo qualche attimo di notorietà, o servirà davvero alla città per riprendere un cammino con la promozione di “progetti e attività di valorizzazione del patrimonio culturale, sia materiale che immateriale”, come recita il ministero della Cultura?


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