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Dott.ssa Tamara Alfonso (Crescere Insieme): la situazione dei neomaggiorenni stranieri in Italia

Si sente spesso parlare di minori all’interno delle comunità educative e di quale sia il percorso di crescita più adatto a loro. Si discute delle loro necessità, delle criticità dei loro percorsi e il livello di attenzione aumenta quando si parla di minori stranieri non accompagnati. Purtroppo però l’incremento di attenzione spesso non corrisponde ad un reale aumento di conoscenza dei percorsi che si possono effettuare e degli interventi educativi effettuati. Le comunità e i professionisti che ci lavorano vengono chiamati a predisporre attività finalizzate a sostenere il percorso di crescita di questi ragazzi e ragazze fino, di norma, al raggiungimento della maggiore età. Ma dopo i 18 anni cosa succede? In Italia, se ne parla ancora troppo poco. Per questo abbiamo voluto approfondire il tema con la Dott.ssa Tamara Alfonso, Assistente Sociale della Comunità per minori Crescere Insieme. La Dottoressa da anni accompagna i minori ospiti nella struttura nel loro percorso verso l’indipendenza.

Cosa succede ai ragazzi ospiti in comunità quando raggiungono la maggiore età?

L’ingresso nel mondo degli adulti rappresenta sempre un passaggio delicato per ogni ragazzo/a, indipendentemente dalla sua nazionalità e non può essere limitato ad una semplice questione biografica. Per quanto riguarda i MSNA tale momento è ancora più critico perché che siano qui da tre anni o da tre mesi, per lo Stato italiano il loro percorso di tutela, nella maggior parte dei casi, finisce con l’arrivo della maggiore età.  Questo significa che il periodo di accoglienza presso una struttura, il supporto e gli interventi educativi che hanno ricevuto fino a quel momento devono essere interrotti. I neomaggiorenni devono uscire subito dalla comunità per iniziare un percorso di vita autonomo. Questo è giusto per i ragazzi che hanno avuto l’occasione di consolidare le opportunità di crescita avute, come nel caso in cui siano riusciti ad acquisire competenze linguistiche italiane adeguate e si siano inseriti con successo in percorsi lavorativi ma la realtà è che molto spesso, al compimento dei 18 anni, questi percorsi sono ancora in piena fase di sviluppo. Di frequente i ragazzi arrivano in struttura prossimi ai 18 anni, con poco tempo a disposizione per imparare l’italiano, completare un percorso formativo e/o inserirsi in modo concreto nel mondo del lavoro. Il rischio è che si trovano a dover uscire senza aver conseguito gli obiettivi educativi previsti per loro e senza avere reali strumenti di indipendenza personale. 

Una volta usciti, a cosa vanno incontro?

L’uscita dalla comunità è un momento molto delicato. Da un punto di vista prettamente pratico, se non si è potuto inserirli in altri percorsi di tutela e non hanno figure che in una prima fase possono aiutarli, i giovani devono avere una soluzione abitativa e la capacità di sostenersi finanziariamente. Inoltre, se non sono impegnati in percorsi di studio, hanno bisogno di un lavoro regolare e di un contratto di affitto in modo da poter rinnovare il permesso di soggiorno che nel frattempo, al compimento dei 18 anni, è scaduto insieme agli altri documenti ottenuti durante la loro minore età. Il rinnovo dei documenti è un elemento fondamentale per la loro permanenza regolare in Italia: il percorso realizzato nel periodo di accoglienza viene valutato dalla Direzione Generale dell’Immigrazione che rilascia parere positivo o negativo. L’esito di tale valutazione è finalizzato al rinnovo del permesso di soggiorno. L’aspetto burocratico è abbastanza complesso e purtroppo, nonostante durante il periodo di accoglienza cerchiamo di sostenere i ragazzi e le ragazze nell’acquisizione di competenze utili ad accedere ai servizi in maniera autonoma, spesso necessitano di un ulteriore sostegno da parte nostra.

Riuscite a seguirli nei loro percorsi di vita una volta usciti?

Una volta usciti dalla comunità, non c’è un iter uguale per tutti. Teoricamente il nostro lavoro dovrebbe terminare al compimento dei 18 anni ma spesso continuiamo a sentirli e a supportarli, anche se magari non sono neanche più sul territorio. Per alcuni di loro la fase di sgancio è particolarmente difficile: gli educatori sono le uniche figure di riferimento sul territorio e si  crea un rapporto di fiducia e stima reciproca che non si cancella da un giorno all’altro. In linea generale, ogni ragazzo/a sceglie la sua strada, anche in base al percorso effettuato in comunità: alcuni sono riusciti a crearsi delle opportunità e hanno degli strumenti per poter proseguire in autonomia, altri decidono di cambiare città e hanno bisogno solo di un supporto limitato mentre altri si trovano maggiormente in difficoltà. In questi ultimi casi, quando ci sono le condizioni giuste, entra in gioco il progetto Porto Sicuro” di Città Aperta APS. 

L’Associazione di Promozione Sociale, con cui collaboriamo dal 2018 tramite la realizzazione di attività di promozione della solidarietà e dell’inclusione sociale, mette a disposizione con questa iniziativa un appartamento. Si intende in questo modo fornire un ulteriore supporto verso l’indipendenza personale per quei ragazzi che hanno bisogno di un piccolo aiuto in più per poi proseguire con la loro vita in maniera autonoma. Per ogni ospite viene redatto un progetto di ospitalità che prevede il conseguimento di obiettivi formativi e lavorativi in un tempo chiaro, breve e definito. In sinergia con i volontari dell’Associazione, i giovani gestiscono l’appartamento e le questioni più pratiche della convivenza: contribuiscono alle spese per l’acquisto dei generi alimentari e alle utenze. È un progetto a cui teniamo tanto e che riesce a sostenere i ragazzi che hanno bisogno solo di una piccola mano in più. In poco più di un anno si è riusciti a dare sostegno a una decina di ragazzi che hanno potuto costruire basi solide per costruirsi un futuro migliore in Italia. Questo progetto però necessita di risorse e per questo cerchiamo di ottenere finanziamenti attraverso bandi e raccolte fondi, come quella aperta su buonacausa.org.

 

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