Terezín, l’orrore dello sterminio visto con gli occhi del poeta Luciano Giovannini

Terezín, l’orrore dello sterminio visto con gli occhi del poeta Luciano Giovannini

Luciano Giovannini è un professore di Roma, docente di lingua inglese presso l’I.I.S. Eliano-Luzzatti di Palestrina, noto in tutta Italia per essere uno dei poeti contemporanei più apprezzati e premiati. In questa torrida estate, dopo esami e collegi docenti, premiazioni di concorsi letterari ed eventi culturali, ha deciso di silenziare il mondo circostante per un po’ e, in questo particolare momento storico e per ragioni facilmente intuibili, ha ritenuto, insieme alla moglie Antonietta, di dover visitare Terezín, una località che si trova a circa 60 chilometri a nordest di Praga, tristemente famosa per il suo campo di concentramento “Theresienstadt”.
«“Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare.” –  Giovannini esordisce con una citazione dell’indimenticato Gino Strada e prosegue: – Il posto conosciuto con il nome di “Terezín” non nacque come paese e nemmeno come ghetto bensì come fortezza. Questo luogo fu costruito tra il 1780 e il 1790 per volontà di Giuseppe II d’Asburgo Lorena, il quale la dedicò a sua madre Teresa. Fortificato con speciali bastioni e circondato da profondi fossati, all’interno conteneva tanti edifici quadrati, più o meno tutti uguali e ciascuno con un cortile interno: negli edifici vivevano e dormivano circa 4.000 soldati. Finita la guerra Austro-Prussiana la fortezza non ebbe più motivo di esistere. Rimasero soltanto alcune caserme con i soldati e cominciò a trasformarsi poco per volta in un normale paese abitato da civili. Solo una parte, denominata “piccola fortezza” venne adibita a carcere di massima sicurezza. Durante la Prima guerra mondiale, in questo luogo fu imprigionato e morì Gavrilo Princip, uccisore dell’arciduca Francesco Ferdinando erede al trono austroungarico. Tale assassinio fu il casus belli che fece crollare il già precario assetto politico europeo e che provocò la Grande Guerra.»
Giovannini si interrompe, riprende fiato. Il racconto di questo passato che tristemente ci appartiene non è mai a cuor leggero.
«Durante la Seconda guerra mondiale, più esattamente tra il 24 novembre 1941 e il 9 maggio 1945, Terezin divenne una struttura di internamento e deportazione utilizzata dal Terzo Reich. Da qui i prigionieri, tra i quali molti artisti e intellettuali, partivano verso un viaggio di sola andata verso i campi sterminio di Treblinka e Auschwitz. Molti i bambini. Dei 155.000 ebrei passati da Theresienstad, 35.440 morirono di stenti e torture nel campo e 88.000 furono deportati. Ben pochi ebbero la fortuna di tornare a casa. Passeggiando in questi luoghi mi è tornata in mente una frase incisa in trenta lingue su un monumento presente nel campo di concentramento di Dachau: “Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”. Ma davvero basta la memoria per non commettere gli stessi errori? O piuttosto sono gli interessi economici che tristemente trascendono ciò?»


I bambini e gli adolescenti di Terezin venivano poi deportati ad Auschwitz e Treblinka. Una delle tue poesie più note e premiate, si intitola proprio Treblinka:

Treblinka

Quel che rimane su quel filo spinato
è solo un brandello di un sogno perduto
una molecola dissolta nel vento
e dal vento adagiata su sopite coscienze.

Quel che rimane di quei corpi straziati
sono le impronte lasciate nel tempo
immagini grigie e mucchi di scarpe
polvere e fumo in un cielo polacco.

Quel che rimane delle nostre vite bruciate
è l’odore acre nelle narici del mondo.

Quanto cara mi fu la tua libertà.

«Vedere sui muri di Terezin i fogli con i disegni dei bambini imprigionati causa una ferita così profonda che le parole non riescono a descrivere in modo adeguato. Su quei fogli c’è tutto: il buio dei campi di concentramento, gli orchi, il filo spinato, ma anche l’arcobaleno, il camminare mano per mano con i genitori e tanti gelati che non si scioglieranno mai.»

  
 Nel 2022 hai vinto il Premio Zingarelli con la poesia “A cosa servono i poeti?”. Ritieni che la tua poesia e la poesia in generale possano in qualche modo operare un cambiamento nelle coscienze?
Nel secondo secolo avanti Cristo il poeta romano Tibullo scriveva queste parole: “Portare la cultura della pace fra la gente con una poesia è una delle cose più belle e significative che possiamo fare oggi”.  Ecco, io penso esattamente la stessa cosa. L’ artista deve farsi latore di questo messaggio, in poche parole è colui o colei che riempie di colori una stanza grigia e che permette agli altri di goderne lo spettacolo. Siccome la bellezza è contagiosa, lo spettatore che vede tanto splendore cercherà in qualche modo di riprodurlo. Ecco, l’arte e più nello specifico la poesia, serve a fare riflettere la gente sulla bellezza e a fornire loro un modello positivo da seguire.
 Terezín è stata la meta delle vostre ferie e del vostro viaggio di coppia. Cosa si legge negli occhi dell’altro durante la visita?
In questi posti ti viene la voglia di prendere per mano chi è accanto a te, anche se si tratta di uno sconosciuto. Penso che non ci sia una cosa che renda più coesi del dolore. Negli occhi di mia moglie ho visto tanto sgomento, in particolare quando erano rivolti verso i disegni dei bambini prigionieri. Che assurdità accostare queste due parole: bambini/prigionieri. Eppure questo è accaduto e sta accadendo ancora. La storia è una grande maestra ma per seguirne gli insegnamenti bisogna ascoltarla. Cosa che purtroppo non avviene spesso.


La sensibilità dell’uomo e del poeta si fondono in un momento di profonda consapevolezza:
«Vorrei concludere questa intervista facendo ancora ricorso alle parole di Gino Strada: “Ogni volta, nei vari conflitti nell’ambito dei quali abbiamo lavorato, indipendentemente da chi combattesse contro chi e per quale ragione, il risultato era sempre lo stesso: la guerra non significava altro che l’uccisione di civili, morte, distruzione. La tragedia delle vittime è la sola verità della guerra.”»

 

Luciano Giovannini


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  • Claudia Palombi ha detto:

    Un reportage denso di emozioni, carico di storia e di significati. Un viaggio nel passato che ci crea sgomento in un presente che vede il futuro tornare a quell’allora – ahinoi – senza prendere le distanze, anzi, quasi con leggerezza. Grazie Luciano e Alessandra.