di Melania Aio
La serie “Avetrana – Qui non è Hollywood”, prodotta da Disney+ e diretta da Pippo Mezzapesa, porta sul piccolo schermo uno dei casi di cronaca nera più sconvolgenti e seguiti in Italia: il delitto di Sarah Scazzi, scomparsa il 26 agosto 2010. Con una storia ricostruita in quattro episodi, la serie ripercorre il dramma della giovane Sarah e il complicato intreccio di bugie, misteri e tradimenti che si è tradotto in uno dei processi più controversi degli ultimi decenni. L’ambientazione è ovviamente il piccolo comune pugliese che, nell’estate del 2010, diventa il centro dell’attenzione nazionale e internazionale a seguito della scomparsa e del ritrovamento del corpo di Sarah Scazzi. La serie esplora i dettagli del caso, seguendo la narrazione attraverso gli occhi di chi l’ha vissuto: dai familiari di Sarah alle personalità locali, fino agli stessi media, che trasformano il caso in un vero e proprio spettacolo mediatico. La casa dei Misseri, a partire dalla scomparsa della quindicenne Sara, è diventata infatti un luogo d’assedio mediatico, attorniata da decine di troupe televisive e giornalisti, quasi un set improvvisato per ore di trasmissioni in diretta che aggiornavano costantemente il pubblico italiano sulle indagini. L’attenzione mediatica raggiunse il picco il giorno dell’arresto di Michele Misseri, che venne comunicato in diretta tv mentre Concetta Serrano, madre di Sara, era in collegamento con i microfoni di una nota trasmissione Rai. Concetta apprese così, pubblicamente e sotto i riflettori, che lo zio della figlia era accusato di essere il colpevole della sua tragica morte. Le telecamere colsero lo smarrimento, il dolore e l’incredulità di una madre, visibilmente sconvolta, che si trovava a vivere uno dei momenti più terribili della sua vita sotto l’occhio impietoso delle telecamere.
La serie
Uno dei punti di forza di “Avetrana – Qui non è Hollywood” è la capacità di mostrare, senza filtro, il modo in cui la cronaca diventa spettacolo. Pippo Mezzapesa, con uno stile sobrio ma impattante, decide di non esaltare o edulcorare le vicende, ma di rappresentare la cruda realtà di come la sofferenza e il dolore possano essere strumentalizzati dai media. Le emozioni dei protagonisti sono trattate con una forte carica drammatica, mettendo in luce i conflitti, le paure e il dolore intenso che hanno travolto tutti coloro coinvolti. Gli autori hanno scelto di dare un taglio intimo e psicologico ai personaggi principali, cercando di mostrare i tormenti emotivi e le difficoltà vissute durante l’assedio mediatico e la scoperta della verità. Concetta Serrano, madre di Sara, è ritratta, ad esempio, con una dignità dolorosa: il suo volto e la sua gestualità sono utilizzati per trasmettere la profonda disperazione e l’incredulità di una madre che, prima speranzosa e poi straziata, vive sotto i riflettori il lento disfacimento delle sue speranze.
Anche gli altri attori protagonisti, tra cui Federica Pala nel ruolo di Sarah e Giulia Perulli nei panni di Sabrina Misseri, offrono interpretazioni cariche di pathos. Perulli, in particolare, riesce a rendere con grande efficacia il peso emotivo e psicologico del suo personaggio, delineando una figura ambigua, prigioniera di un contesto che contribuisce al disastro che si compie. Negli episodi, Sabrina Misseri emerge come un personaggio complesso, intrappolato in un vortice di emozioni profonde e spesso contraddittorie. Il suo rapporto con Sara è rappresentato in modo stratificato, mostrando l’affetto sincero che prova per la cugina ma anche le ombre che si annidano in questo legame. La serie fa un lavoro potente nel restituire l’intensità emotiva di Sabrina: la sua amicizia con Sara, pur genuina, è colorata da sfumature di invidia, gelosia e insicurezza, elementi che vengono portati in scena in modo vivido e crudo. Sono proprio queste sue insicurezze ad essere acuite dalla presenza di Sarah, la quale, con la sua giovinezza e il corpo esile, diventa inconsapevolmente un simbolo di tutto ciò che Sabrina desidererebbe essere.
Quanto può essere invadente il ruolo dei media nelle tragedie familiari? Quali sono le conseguenze della spettacolarizzazione della cronaca nera e del dolore altrui? E quanto pesano le pressioni sociali e familiari, amplificate dall’occhio vigile e giudicante della società? Il desiderio di notorietà ha davvero permeato ogni angolo della nostra vita, al punto da trasformare drammi privati in spettacoli pubblici? In “Avetrana – Qui non è Hollywood”, questi interrogativi vengono sollevati senza risposte definitive, spingendoci a riflettere su quali siano i limiti e le responsabilità del mondo mediatico e di tutti noi che ne siamo parte.
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