di Sara Ramzi
Sono passati più di due mesi dal via libera al Mirò, il progetto del nuovo centro commerciale lungo la valle del fiume Pescara. Chiamato anche Megalò 2, il disegno è oggetto di contestazioni da parte di associazioni ambientaliste che, già dal 2004, contestavano la costruzione del “Megalò 1”. Quest’ultimo – uno dei centri commerciali più grandi d’Italia – è eretto tra i comuni di Chieti e Cepagatti, in una zona ad alto rischio idrogeologico: in termini di esondazioni il Pescara, come evidenziano le associazioni locali, è notoriamente un fiume pericoloso.
Su queste premesse nasce anche il secondo progetto, quello del centro commerciale Mirò. Lo scorso 13 marzo, dopo un lungo braccio di ferro giudiziario, la bergamasca Sile Costruzioni ha ottenuto il via libera all’ampiamento su un’area di oltre 24mila metri quadrati, che dovrebbero aggiungersi ai circa 35 ettari già edificati. “Anche dagli ultimi documenti sono emerse numerose criticità e incongruenze”, racconta ad Abruzzo Sera Augusto De Sanctis del Forum H2O, associazione abruzzese che continua a tenere alta l’attenzione sul caso. L’area presenta rischi di inondazione in particolare nella zona dell’ansa del fiume, la naturale curvatura che prende il corso d’acqua. Un tema tutt’altro che trascurabile: negli ultimi anni l’Italia è stata luogo di inondazioni che hanno provocato tragedie. Basti ripensare alle immagini di case distrutte e fiumi di fango durante l’alluvione in Emilia Romagna del 2023, così come nelle Marche l’anno precedente, con un bilancio totale di oltre 30 morti e danni per miliardi di euro.
“Tutto ebbe inizio ormai una ventina d’anni fa, tra il 2004 e il 2005 – afferma De Sanctis – quando viene realizzato il primo nucleo di Megalò, costruito in un’ansa naturale del fiume Pescara, zona nota per il rischio esondazione. Venne eretto un imponente argine per proteggere l’area, senza tuttavia risolvere il problema, ma anzi aumentando la portata delle piene più a valle”. Nel 2011 la Sirec, una società che qualche anno dopo fallirà passando il testimone alla Sile, progetta la costruzione di altri cinque edifici nell’area del Megalò. Da qui il nome Megalò 2, proprio a ribadire la continuità tra l’allargamento e l’imponente area commerciale “madre”. È in quel periodo che il comitato di valutazione di impatto ambientale (Via) della Regione approva il progetto, ordinando la costruzione di argini al fiume ancora più rilevanti: “L’obiettivo sembrava essere più resistere all’acqua che integrarsi e assecondare il territorio, come dovrebbe essere”, evidenzia l’attivista di H2O.
Negli anni i ricorsi presentati hanno rallentato l’avanzamento dei lavori, anche per via della questione legata alla qualità dell’aria: il sito ormai urbanizzato sorge in una “zona di risanamento”, un’area dove la legge stabilisce che debba essere risanata l’aria, perché oltre i limiti consentiti dell’inquinamento. “Un centro commerciale attira chiaramente traffico contribuendo all’aumento delle emissioni nocive”, commenta il Forum evidenziando la contraddizione.
E c’è anche la “beffa nella beffa”, come sottolinea De Sanctis. Nel 2015, in base all’accordo tra la Regione Abruzzo – allora guidata da Luciano D’Alfonso – e il governo nazionale, vennero finanziate vasche di esondazione per 55 milioni di euro. “Una caso di schizofrenia totale: consapevoli che il fiume Pescara fosse pericoloso, hanno speso 55 milioni di euro per costruire vasche artificiali di esondazione dopo che aver edificato centri commerciali sulla zona in cui il fiume esondava naturalmente. Ciò che prima la natura faceva gratis, ora lo fanno le costose vasche”, evidenzia De Santis.
Poco più di due mesi fa arriva un nuovo parere positivo da parte del comitato regionale VIA, difeso dal presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio perché considerato “un atto dovuto” e criticato dalle opposizioni e dalle associazioni. Qualche giorno fa il WWF ha annunciato un altro ricorso al Tar. ( https://abruzzosera.it/cronaca/il-megalo-2-torna-allesame-del-tar-wwf-zona-ad-alta-pericolosita-idraulica/ ).
A distanza di anni, battaglie, ricorsi, rallentamenti, quella zona della Valpescara è stata urbanizzata. A pagarne il prezzo, come sempre, è il territorio e chi lo abita.
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