“In riferimento all’articolo pubblicato oggi da AbruzzoSera, dal titolo “Aborto farmacologico in Abruzzo: il diritto c’è, l’accesso meno”, desidero offrire un punto di vista diverso e, per me, fondamentale.”
A scrivere è Angela D’Alessandro, del Comitato Prolife Insieme.
“Da persona che crede che la vita di un essere umano inizi con il concepimento, mi sento profondamente offesa quando leggo che uno dei principali ostacoli all’interruzione volontaria di gravidanza sarebbe rappresentato dall’obiezione di coscienza. Quest’ultima, prevista e tutelata dallo stesso ordinamento giuridico, rappresenta una espressione della libertà di pensiero. Non è un rifiuto dettato dal dispetto o dal pregiudizio, ma una scelta di coscienza, un diritto riconosciuto dalla legge a chi ritiene che l’aborto sia in contrasto con i propri principi morali e professionali. Se un medico o un operatore sanitario non se la sente di praticare un aborto o di collaborare alla procedura, va rispettato. È difficile accettare affermazioni secondo cui nelle prime settimane non ci sarebbe battito cardiaco: intorno alla quinta settimana di gestazione è già rilevabile con un’ecografia, e il cuore batte a circa 100-110 pulsazioni al minuto. La scienza stessa conferma che dal concepimento inizia una nuova vita, dotata di un patrimonio genetico unico e irripetibile: dunque, una vita umana a tutti gli effetti.”
“In base alla legge, esiste un periodo di riflessione di sette giorni tra la richiesta e l’esecuzione dell’interruzione di gravidanza: un tempo prezioso che consente alla donna di riflettere, valutare alternative, essere sostenuta – prosegue D’Alessandro -. I centri di aiuto alla vita, contrariamente a quanto spesso si afferma, non fanno leva sul senso di colpa ma offrono supporto concreto e umano, nel pieno rispetto della libertà di scelta. Numerose testimonianze raccontano le conseguenze fisiche e psicologiche dell’aborto, chirurgico o farmacologico: emorragie, infezioni, infertilità, ma anche ansia, depressione e disturbi post-traumatici.”
“Non si può definire l’aborto un “diritto di autodeterminazione” quando implica l’eliminazione di una vita nascente.
Come l’eutanasia o la pena capitale, esso nega il principio basilare della nostra civiltà: il diritto alla vita. Come ricordava il ginecologo Giorgio Pardi, che aveva praticato aborti: “Per ritenere l’aborto un omicidio non serve la fede. Basta l’osservazione. Quello è un bambino. L’aborto è un omicidio.” Esistono ancora persone che credono nella vita e si impegnano ogni giorno per difenderla – conclude -. Perché amare davvero significa proteggere la vita, non cancellarla.”
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